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Su Bologna si può giocare facendo sul serio. “Un’idea in osteria è diventata un lavoro”

Da Bolognando alle carte da gioco, passando anche per Monopoly, decliniamo i giochi di ruolo in una rete

«Bologna è una città molto orgogliosa e con tante rivalità su cui però è pronta a prendersi in giro», spiega Alessandro Roversi, titolare assieme a Jacopo Zucchelli di Boh! Edizioni, che realizza giochi in chiave bolognese.

Comenascel’idea?

«Un po’ pei: gioco, appunto. Io e Jacopo lavoravamo entrambi nella ristorazione e nella gestione di locali, una sera eravamo in osteria con altri amici e abbiamo pensato che sarebbe stato divertente creare un gioco sulla città di Bologna e sul suo modo di vivere. Così nel 2017 assieme ad altri abbiamo creato “Bolognando”, in collaborazione con “Succede solo a Bologna” stampandone mille copie che sono · J andate esaurite in dieci giorni sotto Natale. Allora abbiamo capito che forse poteva non essere solo uno scherzo. Poi sono arrivati “Vamo là”, un memory con personaggi e cose di Bologna, le carte coi semi in chiave bolognese o “Il signore dei tortelli”, un gioco di strategia che coinvolge anche la provincia. Ma anche il Monopoly bolognese, per cui però siamo solo distributori. Nel tempo abbiamo costruito una rete che conta 120 rivenditori tra città e provincia, tra librerie grandi e piccole, tabaccherie ed edicole di paese».

È diventato il vostro lavoro?

«Entrambi abbiamo anche altre attività, ma questa è diventata la principale».

Che realtà è oggi Boh! Edizioni?

«La produzione viene fatta da diversi fornitori, perché abbiamo raggiunto volumi che non ci consentono di fare tutto a mano: Bolognando ha superato le lO mila copie, il Signore dei tortelli Smila. Abbiamo fatto vari puzzle, pensando al mercato turistico, e calendari fotografici,

diventando anche casa editrice nel 2021. Non abbiamo dipendenti, ma tanti collaboratori e consulenti fra grafici, infÒrmatici, comunicazione e cosi via».

Vendete solo a Bologna?

«La stragrande maggioranza sì, anche se con l’e-commerce, soprattutto per prodotti come i puzzle e le carte da gioco, abbiamo spedito in tutta Italia e in qualche caso all’estero, per bolognesi espatriati».

Prossimi progetti?

«C’è tanta car11e al fuoco, forse troppa. Ci sarà la ristampa dell’agenda Spippola, stiamo ·

lavorando a un nuovo calendario e poi c’è un progetto legato alle Toni e alla Garisenda che ci gira in testa àa un po’. Poi replicheremo la fiera del gioco da tavolo a San Lazzaro che abbiamo fatto l’anrio scorso, con 1.200 ingressi, che sarà il 15 e 16 giugno, dove gli appassionati potranno provare le nqvità presentate dai vari produttori».

Come nascono i, vstri giochi?

«Il bar e l’osteria sono elementi che facilitano la creatività. Ma soprattutto vivendo la città, il suo quotidiano. Poi c’è anche la conoscenza del panorama dei giochi · da tavolo, visto che molti sono giochi già esistenti che noi bolognesizziamo».

Qual è il vostro pubblico? Tutti

nerd dei giochi in scatola?

«No, non ci rivolgiamo ai super·nerd dei giochi, e infatti da quel pubblico ogni tanto riceviamo anche qualche critica. Il nostro pubblico è più largo, perché il gioco diventa una scusa per scherzare sulle cose che già si conoscono e per coinvolgere chi non le conosce. Anche perché Bologna rimane nel. cuore di tanti che ci vivono per un po’ e poi vanno via».

La città si presta a scherzare su se

stessa?

«Si presta molto, perché c’è una forte identità e un forte orgoglio. Non siamo gli unici ad aver creato giochi sulle città, a Milano per esempio c’è un pubblico più ampio ma non c’è lo stesso senso di appartenenza. Anche perché a Bologna ci sono tante micro-identità, come il rapporto Virtus· Fortitudo, che sono rivalità divisive ma bonarie, ci si ride sopra. E tanti archetipi che si prestano: l’umarell forse è il più famoso, ma anche la nonna che ti obbliga a ingozzarti la domenica, oppure il fuorisede squattrinato che ti lascia i debiti da pagare, o il turista che si perde nel centro di Bologna>>.

Mai pensato di lanciarvi su altre città?

«Ce l’hanno chiesto diversi amici imprenditort. Ma la cosa che ci ha finora impedito di fare il salto di qualità è che l’ingrediente fondamentale dei nostri giochi è la conoscenza profonda di Bologna e

del suo vissuto, il sentire l’aria che tira per strada lo conosco diverse persone a Padova, per esempio, ma non saprei fare una battuta per stuzzicare le corde intime di un padovano. Non abbiamo ancora

trovato il partner, il “matto” giusto che ci affianchi. Perché non basta chiedere a Google di tradurre in dialetto le parole. Se scrivo in un gioco “Ti rubano la bici in Piazza Verdi, torna a casa a piedi”, a Padova non fa ridere mentre a Bologna sai di cosa sto parlando».

Marco Bettazzi, la Repubblica di Bologna – 8 aprile 2024

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