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“Lavoro di notte, temevo l’insonnia ma era creatività”

Luca Caccioni inaugura venerdì alla Otto Gallery

Erano quasi otto anni che Luca Caccioni, tra gli artisti bolognesi più conosciuti anche a livello internazionale, non si presentava con una mostra personale nella sua città. È quindi un gradito ritorno la
mostra “Se è vero che la notte porta consiglio” che si inaugura venerdì prossimo alle 18 alla Otto Gallery
con una quarantina di nuove opere di piccolo formato.

Caccioni, che effetto fa tornare ad esporre a Bologna?

«Sono molto contento perché mi sono reso conto che non presentavo i miei lavori in maniera
organica da molto tempo. Non che sia stato fermo. Ho fatto altre cose, ho esposto in Svizzera, in Francia, in tanti altre città. Qui non è capitato, non si era creata l’occasione, anche i due anni di fermo a causa della pandemia».

Come ha vissuto questo periodo?

«Ho lavorato come un matto, in un tempo strano che è passato velocissimo e allo stesso tempo è rimasto sospeso. Quando Beppe Luftano, il gallerista della Otto, mi ha chiesto di organizzare questa mostra mi sono reso conto che avevo accumulato 70·80 lavori che erano già lì, pronti per essere presentati al pubblico».

Come ha scelto quelli per la mostra?

«Ho selezionato i lavori degli ultimi due anni che sono stati realizzati tutti nelle ore notturne o all’alba,
come suggerisce il titolo dell’esposizione».

Cosa l’affascina di questa dimensione notturna?

«È un momento della giornata ben preciso in cui la modalità di lavoro cambia, diventa più intimo più personale, più scarno. Di notte non suona il telefono, non senti i rumori. Viviamo un’intera giornata ma c’è un abisso tra il giorno e la notte. Io mi sveglio spesso alle tre del mattino e pensavo di soffrire di insonnia fino a quando non ho capito che c’era una parte creativa che non veniva espressa durante la giornata e che bussava alla porta, in maniera molto cerebrale. È stato un periodo di ricerca».

Con quali risultati? Cosa rappresentano questi lavori?

«Ho sperimentato un nuovo supporto, l’alluminio, e ho prodotto delle immagini per sottrazione. Dipingevo ma poi cancellavo la superficie con solventi, con la trementina, con gesti continui che
andavano avanti fino allo sfinimento. Non ci sono figure umane ma segni, come diagramma del volo delle api, o circoli che possono suggerire paesaggi ma che paesaggi non sono». Questa mostra si inaugura in occasione di Art City.

Come vive questa grande festa dell’arte?

«Trovo che sia molto divertente ma anche molto impegnativa. Ti prende l’ansia perché vorresti
vedere tutto, ma non ci si riesce. Diventa quasi un lavoro e per questo mi piacerebbe che l’evento
fosse un più diffuso nel tempo».

E Arte Fiera?

«È un momento molto interessante e vivace ma credo sia necessario riscriverne il concetto. Quello che
funzionava 20 anni fa oggi è abbastanza superato. Un tempo era il luogo dove la gente si incontrava,
parlava, faceva affari. Ora, con i social, non è più determinante. Rimane comunque l’esigenza di
toccare con mano le opere».

Lei espone un po’ in tutta Italia, anche all’estero, ma continua a vivere a Bologna.

«Sì per me rimane una bellissima città, con i suoi limiti. Ma ha un importante Accademia, dove insegno, che continua ad essere un trampolino per la crescita di giovani artisti.

Paola Naldi, La Repubblica – 1 febbraio 2023

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