Nelle sede di Confcommercio Ascom Bologna, l’incontro organizzata dalla Fipe Bologna con special guest Jeffrey Root, senior Vice President of sales and marketing di pasta Montana
Spaghetti alla bolognese? Chicken parmesan? È davvero questa l’idea che si ha della cucina bolognese negli Stati Uniti? Jeffrey Root, senior Vice President of sales and marketing di pasta Montana e ambasciatore della cucina bolognese negli Usa, con la collaborazione di Vincenzo Vottero, Presidente Fipe-Confcommercio Ascom Bologna, è pronto a sfatare questo mito e far conoscere ai suoi connazionali le vere ricette della nostra tradizione.
Di questo tema, fortemente d’attualità, visto l’alto numero di turisti americani che affollano Bologna, se ne è parlato durante l’incontro “La cucina bolognese tra stereotipi e false credenze. Come esportare negli Usa le nostre vere ricette tradizionali”, organizzato nella sede Confcommercio Ascom Bologna, alla presenza di Vincenzo Vottero, Jeffrey Root e Giancarlo Tonelli, Direttore Generale Confcommercio Ascom, con la moderazione di Antonietta Mazzeo, giornalista pubblicista collaboratrice di La Madia Travelfood.
«Bologna, negli anni, è diventata una meta turistica molto ambita soprattutto dagli americani che arrivano sotto le Due Torri per gustare pietanze che sono state portate negli Stati Uniti dai nostri chef – spiega Tonelli –. Oltreoceano non sempre, però, le ricette della nostra tradizione vengono rispettate, così chi arriva in città non capisce perché i piatti siano diversi. È fondamentale, quindi, che le nostre tradizioni facciano breccia negli Usa sia per esportare la vera qualità bolognese, sia per attrarre ancora più turisti alla ricerca della buona cucina».
D’altronde di turisti che gironzolano sotto le Due Torri chiedendo i celebri, ma inesistenti, spaghetti alla bolognese o la famigerata chicken parmesan ce ne sono tantissimi. «Per evitare che la nostra cucina sia conosciuta per ricette che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione è fondamentale lavorare sull’idea che gli americani hanno di noi negli Stati Uniti, cambiando le loro abitudini esportando i nostri veri piatti – commenta Vottero –. Mi sono chiesto come riuscirci e la risposta per divulgare la nostra idea di cucina al di là dell’oceano non può che arrivare da una sinergia tra i ristoratori, l’Associazione di categoria, le istituzioni, le realtà del nostro territorio che rappresentano brand famosi in tutto il mondo e ovviamente gli esponenti della ristorazione bolognese negli Usa».
Per riuscire in questo intento nessuno è più indicato dell’ambasciatore della cucina bolognese negli Usa: Jeffrey Root, che in America è senior Vice President of sales and marketing di pasta Montana. «Per divulgare le vere ricette della tradizione è fondamentale riuscire a cambiare le convinzioni che gli americani hanno della cucina bolognese, che viene spesso confusa con la cucina italiana tout court. Confusione che porta alla creazione di un mix di ricette che nulla hanno a che vedere con la tradizione bolognese – spiega Root –. Bisogna quindi far capire la differenza che passa tra un loro spaghetto alla bolognese e una vera tagliatella al ragù cucinata seguendo la ricetta tradizionale. Solo così si riuscirà a creare quel tratto distintivo che ci permetterà di divulgare la cucina bolognese negli Usa».
Dai falsi Parmesan, all’aceto balsamico sloveno non si contano i tentativi di contraffazione all’estero dei prodotti dell’Emilia-Romagna, in spregio al principio di una corretta concorrenza. Non solo formaggi e aceto, anche i salumi sono oggetto di imitazione, tra i più prestigiosi, i marchi maggiormente copiati sono il San Daniele e la mortadella Bologna. Il valore del falso Made in Italy agroalimentare nel mondo, secondo dati riportati dal Sole 24 Ore, si attesterebbe sui 120 miliardi di euro, con gli Usa che sarebbero in testa a questa classifica. Nel Paese a stelle e strisce, infatti, si stima che il valore dell’italian sounding (l’utilizzo di denominazioni e marchi che evocano l’Italia per promuovere la commercializzazione di prodotti alimentari contraffatti) abbia raggiunto i 40 miliardi di euro.
Un dato che si riverbera soprattutto sui prodotti alimentari di qualità – i cosiddetti Specialty food -, in cui rientrano 44 specialità dell’Emilia-Romagna che secondo i dati forniti dalla Regione raccolgono il favore crescente di un’ampia fetta della popolazione statunitense. Proprio gli Usa, infatti, rappresentano il secondo Paese di destinazione dell’export emiliano-romagnolo, dopo la Germania e prima della Francia, con l’agroalimentare che costituisce il terzo settore dopo la meccanica e la salute, con un valore che sfiora i 670 milioni di euro nel 2021.
«Il food tourism è un movimento che si è imposto anche a Bologna, città da cui hanno origine storiche eccellenze gastronomiche che, con ingegno e maestria, gli chef intrecciano, trasformandole in preparazioni uniche, per cui l’Italia è conosciuta in tutto il mondo – commenta Antonietta Mazzeo –. Il dovere di chi si impegna nell’ambito della ristorazione e del food è quello di esportare le nostre tipicità superando le barriere fatte di stereotipi e false credenze, che spesso si creano all’estero». L’obiettivo è quindi portare all’estero le vere tradizioni culinarie bolognesi per incrementare il numero di visitatori che sbarcano sotto le Due Torri.
Bologna, 6 dicembre 2022
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