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Addio a Sforza, orologiaio del ’salotto’ della città

Si è spento martedì a 89 anni. Nel 1956 creò il suo laboratorio in via D’Azeglio. Il ricordo di parenti e amici: «Fu un innovatore»

Un camice verde, quasi fosse un chirurgo. I primi passi in un laboratorio di via delle Moline. Una dedizione protestante al lavoro, quasi maniacale. Preciso quanto le lancette degli orologi che montava e smontava per ore. E’ stata questa, forse, la cifra del successo di Gianlugi Sforza, maestro orologiaio di via D’Azeglio, il ’salotto’ della città che tanto amava. Cavaliere al merito della Repubblica Italiana nel 2006, Sforza è morto martedì, dopo la ricaduta di un tumore alle vie urinarie. Aveva 89 anni. «Ma fino al novembre 2019 era stato sempre presente nel nostro negozio», racconta al telefono il figlio, Alessandro Sforza. Che assieme agli altri due fratelli, Pierluigi e Alberto, porta avanti l’attività di famiglia.

Che negli anni si è allargata anche al settore della gioielleria. «Papà era nato a Budrio il 29 ottobre 1931, di famiglia modesta; mio nonno era falegname, mia nonna lavorava nei campi», spiega Alessandro. Che ripercorre la strada del padre verso le Due Torri. «Aveva una grandissima passione per gli ingranaggi, così nel 1945, a quattordici anni, si trasferì a Bologna per lavorare da un orologiaio di via delle Moline». Nel mentre, frequenta un corso di orologeria alle scuole Fioravanti e dieci anni dopo, nel 1956, arriva la svolta. Gianlugi Sforza si sposta in via D’Azeglio, prende in affitto un locale di appena otto metri quadri e qui stabilisce il suo laboratorio. Aveva 25 anni. «E all’inizio, per sostenere le spese dell’affitto – continua il figlio –, decise di vendere persino la sua Vespa».

Era piccolo il primo negozio di Sforza. Ma era frutto dalla sua passione e dell’aiuto dei suoi genitori: «Il papà gli costruì il primo tavolo da lavoro; mentre la sorella sarta creò un camice verde, sul modello degli orologiai svizzeri». Questi ultimi, un punto di riferimento per lui. Che da giovane si recò più volte in Svizzera per imparare i segreti del mastiere. Tanto che quel camice cucito a mano non se lo sarebbe più levato. «Abbiamo provato più volte a convincerlo a cambiarlo, ma niente, non c’è stato verso», sorride il figlio.

Negli anni ’60, Sforza incontra l’amore e sposa la moglie Annalena: «Una donna straordinaria, che lo ha sostenuto in ogni sfida e nella vita quotidiana con umiltà e affetto». Ma l’impegno dell’orologiaio non fu dedicato soltanto alla sua attività. «Sin dai primi anni ’60 si spese anche per tutti gli altri commercianti di via D’Azeglio, si fece portavoce delle loro istanze, dei loro problemi», racconta Giancarlo Tonelli, direttore dell’Associazione dei commercianti. Quello di Sforza era un vero senso di comunità e di impegno di civico, dal carattere innovatore. Prima di Virginio Merola, fu amico dei sindaci Zangheri, Imbeni e Guazzaloca.

«Nel 1968, quando il Comune decise di rendere pedonale via D’Azeglio – continua Tonelli –, c’erano i favorevoli e i contrari». Lui, Sforza, «si propose come mediatore e convinse molti commercianti avversi al progetto a sostenere la pedonalizzazione della via». Nel frattempo, erano già nati i suoi tre figli. E com’era solito raccontare, papà Sforza aveva iniziato a lavorare sempre di più. «Ci diceva che a ogni nuova nascita, aumentava di un’ora il lavoro quotidiano», ricorda il figlio Alessandro. Il negozio di Sforza è un punto di riferimento.

«Perché Gianluigi accoglieva tutti, era umile, sempre disponibile», dice Marco Cremonini, titolare di Cremonini Elite e presidente di Federmoda. «Conobbe e fu amico di tutti gli artisti, da Lucio Dalla a Carmelo Bene. Quando qualcuno arrivava da queste parti, sapeva che in Gianluigi avrebbe trovato una guida».

Se via D’Azeglio è il ’salotto’ dei bolognesi, Sforza ne fu il cerimoniere.

Federico Gonzato, Il Resto del Carlino, 31 dicembre 2020

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