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Commercio, il Covid cancella 240mila imprese

In un anno stimate oltre 3oomila chiusure in settori diversi da quello alimentare. Pesano crollo dei consumi (-10,8%) e restrizioni. Qualche speranza per i saldi

Tre giorni di respiro, con tutta Italia in zona arancione, avranno un effetto più che altro psicologico per le imprese italiane del commercio non alimentare, che si preparano a chiudere l’anno più nero degli ultimi 50 anni.

Stando alle previsioni di Confcommercio (elaborate su dati Istat e Movimprese), il Covid avrebbe cancellato quest’anno 240mila realtà di questo settore, a cui si aggiungono circa 200mila lavoratori autonomi collegati alla filiera. Pesa il crollo dei consumi, stimato dall’associazione in un -10,8% complessivo, che colpisce proprio il commercio non alimentare. Il comparto alimentare, infatti, ha tenuto ed è persino cresciuto, dunque questa cifra nasconde perdite ben più pesanti per settori come abbigliamento e calzature, ma soprattutto per le imprese dei servizi: agenzie di viaggio e tour operator, bar e ristoranti, trasporti e attività legate al tempo libero.

Confcommercio stima la chiusura quest’anno di oltre 39omila realtà, a fronte di appena 85mila nuove aperture.

Nel complesso, sono quindi oltre 3oomila le aziende in meno nei settori considerati (240mila delle quali attribuibili alla pandemia), per un totale di quasi 2,4 milioni di imprese attive a inizio 2021, 1’11,3% in meno rispetto allo scorso gennaio.

«Il 2020 si chiude con un bilancio drammatico per il nostro sistema produttivo colpito dal virus – dice il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli-. Quasi mezzo milione tra imprese e lavoratori autonomi potrebbero chiudere l’attività. Oltre all’indispensabile vaccino sanitario, c’è bisogno del vaccino economico, cioè di indennizzi finalmente adeguati al crollo dei fatturati e l’utilizzo di tutte le risorse europee per rimettere in modo l’economia del nostro Paese».

A pagare il tributo maggiore sono le realtà dei servizi per il mercato: se nel commercio il tasso di mortalità quest’anno è quasi raddoppiato (passando dal 6,6% del 2019 all’11,1% nel 2020), nei servizi è più che triplicato (dal 5,7% al 17,3%). Nel primo caso, il maggior numero di chiusure riguarderebbe i negozi di abbigliamento e calzature (oltre 17.600 le realtà perdute in 12 mesi, con un calo del 17,1%, di cui 11.200 a causa della pandemia), seguiti da ambulanti e distributori di carburante. Nel settore servizi si stima la perdita di oltre 3.900 agenzie di viaggio e tour operator (3.200 per via del Covid), in calo del 21,7%, mentre il numero di bar e ristoranti diminuirebbe del 14,4%. I numeri peggiori sono però quelli che riguardano la filiera del tempo libero, con la sparizione di un’impresa su tre.

«È una crisi particolarmente brutta perché si concentra su pochi settori – osserva Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio -. È vero che il tessuto produttivo, una volta ridotto, può tornare a rigenerarsi se l’organismo complessivo è sano. Ma tante piccole realtà, come le palestre, i bar, i cinema, o i tanti professionisti che lavorano per queste filiere, non potranno certo essere sostituiti da un giorno all’altro. Il rischio concreto è che questa perdita possa proseguire per i prossimi due-tre anni, anche se a ritmi inferiori».

Tutto questo si traduce in centinaia di migliaia di posti a rischio, con circa mezzo milione di occupati non attivi, che lavorano per le imprese a rischio chiusura, attualmente non ufficialmente fuori dal mercato, ma che nei primi sei mesi del 2021 potrebbero andare a ingrossare le fila dei disoccupati nel nostro Paese.

Le festività natalizie – con l’Italia in zona rossa e arancione per la gran parte del periodo – non consentiranno di tamponare la situazione: le stime di Confcommercio a fine novembre parlavano di un calo del 18% sulla spesa complessiva per i regali  di Natale rispetto al 2019, ma è probabile che il consuntivo sia persino peggiore, osserva Bella, viste le restrizioni decise dal governo lo scorso 18 dicembre.

Qualche speranza potrebbe arrivare dai prossimi saldi, nel caso di riapertura dei negozi: «L’ipotesi che possano rivelare sorprese positive rimane – dice Bella – perché in questo momento c’è liquidità in eccesso nei conti delle famiglie italiane. Se la curva dei contagi dovesse appiattirsi e la vaccinazione funzionare rapidamente, ci aspettiamo un andamento positivo. Il punto è capire quando».

In attesa di un rimbalzo, piccolo o grande che sia, resta cruciale il tema dei ristori: «La mia opinione è che bisognerebbe porre fine all’inseguimento visto finora – commenta Bella – e fare un provvedimento in cui si calcoli tutto il reddito perso da ogni impresa e, tenendo conto dei ristori ricevuti, restituirne una parte».

Giovanna Mancini, Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2020
Carlo Sangalli
Carlo Sangalli – Presidente Confcommercio Imprese per l’Italia

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