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Fipe: Le commissioni troppo alte sui buoni pasto costano 220 milioni

Sui buoni usati nel settore privato la commissione varia fra l’11% e il 15%

«Le commissioni per l’incasso dei buoni pasto sono troppo alte. Andrebbero tutte adeguate alla soglia
massima del 5% come è stato fatto con i ticket distribuiti ai dipendenti della pubblica amministrazione,
spiega Lino Stoppani, Presidente della Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe). Lo scorso anno nel Decreto aiuti è stata inserita una norma che fissa per le gare bandite da Consip per l’acquisto dei buoni
pasto la soglia massima della commissione al 5 per cento.

Invece per i buoni utilizzati dal personale delle aziende private attualmente le commissioni oscillano, secondo le rilevazioni Fipe su un campione di associati tra l’11 e il 15 per cento. «Si tratta di mancati ricavi – sottolinea il presidente Fipe per circa 220 milioni l’anno che pesano sui conti dei pubblici esercizi. Commissioni onerose che inevitabilmente portano a un aumento dei prezzi con un calo della qualità del servizio. Oltre alle commissioni ci sono altri costi “grigi” come quelli legati alla gestione dei ticket tra cui
il nolo del Pos, le fee per la transazione e la dematerializzazione dei buoni pasto, il costo della convenzione per l’emittente per finire con errori nella fatturazione. Secondo un sondaggio Fipe
solo in un terzo degli esercizi.

commissioni sono inferiori al 10%, in oltre la metà degli esercenti la commissione è tra l’11 e
il 15% e per un altro 14% si supera il 15 per cento. Una percentuale troppo alta. Così in molti
bar e pubblici esercizi, ma anche negozi di vicinanza e supermercati i buoni pasto non vengono
più accettati o accettati malvolentieri con ripercussioni negative sugli oltre 3 milioni di lavoratori
che li utilizzano.

Molto diversa la situazione all’estero. In Spagna le commissioni oscillano trai14 e il5%; in Francia,
dove i buoni pasto sono nati, non superano il 5% e per quelli digitali sono mezzo punto percentuale
più basse. Oltralpe al momento dell’acquisto le aziende private pagano il buono al suo valore nominale mentre in Italia è oggetto di trattativa con la richiesta del classico sconto.

«Il buono pasto è uno strumento speciale e per questo lo Stato lo sostiene con incentivi fiscali e contributivi. Pretendere che a questi vantaggi se ne aggiunga un altro, ossia lo sconto sul valore facciale a totale carico degli esercenti, non solo è iniquo ma assume anche il profilo di una patologia che distrugge valore anziché crearlo. Quando un sistema accontenta pochi e scontenta i più vuol dire che non funziona.
Questo è quello che da troppo tempo succede in Italia» ricorda il presidente Fipe.

Enrico Netti, Il Sole 24Ore – 30 giugno 2023

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