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Ragù e bolognesità alla conquista degli USA contro i luoghi comuni. Ascom in difesa del brand

“Stop spaghetti alla bolognese”. Ascom in difesa del brand

Spaghetti alla bolognese, ragù sauce, Chicken Parmesan: chi lo dice che sono il demone culina­rio e non un brand da cavalcare per fare conoscere la nostra autentica cucina all’estero? In par­ticolare negli Stati Uniti, dove vanno pazzi per la pasta e sotto l’etichetta “alla bolognese” ci sta di tutto, compreso un sugo all’aglio, peperoni e aceto balsa­mico. Non si scandalizzino i puristi, ma per attrarre sotto le Due Torri nuovi turisti a stelle e strisce, dalle alte capacità economiche, la ricetta di Ascom passa per l’abbattimento di alcuni stereotipi gastronomici che però nel tempo hanno fatto gioco alla diffusione nel mondo del marchio “Made in Bo”. «fino a oggi – dice il direttore di Ascom Giancarlo Tonelli – abbiamo fruttato
in maniera indiretta questa fama, è arrivato il momento di andare oltreoceano e promuovere in modo corretto il nostro territorio, dobbiamo essere ambasciatori di noi stessi delle nostre ricette, per non far cadere in trappola il turista quando viene in Italia fra cibi contraffatti e falsi».

Un’alleanza del cibo, che veda remare tutti dalla stessa parte, Comune, Regione, associazioni di categoria: «Dobbiamo avere la forza di essere presenti alle maggiori fiere americane di cibo – incalza Vincenzo Vottero, presidente dei ristoratori Ascom – non per essere paladini della bolognesità nel mondo ma per sfruttare la notorietà che certi piatti hanno ovunque: gli spaghetti alla bolognese non vanno buttati a mare, ma utilizzati come marketing territoriale». Annosissima Questione che da sempre vede fazioni belligeranti.

Apripista di questo percorso a caccia di alleati istituzionali, ma non solo, è Jeffrey Root, imprenditore
italo-americano della pasta, i cui nonni erano di Gaggio Montano, partiti a cercare Fortuna in America ai tempi della emigrazione di inizio ‘900. Arrivati in Illinois, hanno aperto una salumeria, un ristorante di spaghetti e birra, infine una fabbrica di tortellini. «Gli americani – spiega – confondono la cucina
bolognese con quella italiana tout court. Ne nasce un mix di ricette che nulla hanno a che vedere
con la vostra tradizione». Che fare? «ll filone enogastronomico va maggiormente promosso alla stregua di quello che avviene per altri settori chiave del territorio, dalla ceramica alla meccanica», chiude Tonelli. Presidiare i mercati esteri per storcere il naso quando a tavola servono spaghetti alla bolognese con sugo allo sweet pepper.

di s. cam., La Repubblica Bologna, 7 dicembre 2022

«Ragù e bolognesità» alla conquista degli Usa contro i luoghi comuni. Ambasciatore il figlio di immigrati da Gaggio

Il ragù alla conquista del West. E anche dell’East. E con il condimento più famoso del mondo segue tutta la cucina bolognese, quella originale. Basta con le vie di mezzo e gli strafalcioni gastronomici: è arrivato il momento di sfatare (per ora negli States) le false credenze, gli sterotipi e i piatti non corretti del nostro desco. La missione, assai complicata, l’hanno lanciata lo chef Vincenzo Vottero e l’Ascom affidandosi
in prima battuta al pioniere gastronomico Joeffrey Root, 51enne italo americano la cui famiglia, proveniente da Gaggio Montano, si trasferì oltreoceano, vicino a Chicago, durante il grande esodo di quel disastrato comparto appenninico. Root è cresciuto con gli odori e i sapori nostrani, poi negli anni ’90 decise di andare proprio a Gaggio per conoscere meglio e imparare, anche a cucinare. Tornato negli Usa ha continuato a lavorare nel settore e ora è vicepresidente di un’azienda che produce pasta, la Montana (guarda un po’) e al tempo stesso è ambasciatore della cucina bolognese negli Usa. Là promuove i manicaretti bolognesi nelle fiere, divulga, spiega. «Se vogliamo portare la vera tradizione fra gli americani è fondamentale cambiare le loro convinzioni sulla nostra cucina che si confonde troppo con la cucina
italiana tout court». Facile a dirsi, ma per chi ha un menu corto e semplice come loro, è complicatissimo destreggiarsi fra le 100 cucine italiane, tante quanti i campanili. Quello di Bologna è più alto? Sicuramente è fra i più famosi, almeno sulla carta, grazie ai planetari «spaghetti alla bolognese», quelli col ragù.
Un piatto che entra sempre nei dibattiti di questo tipo: esistono, non esistono, ci sono ma sono torinesi, rinneghiamoli, no anzi sfruttiamoli (tanti turisti a Bologna li chiedono) come testa di ponte per spiegare (almeno) come si fail ragù, e a seguire si spera il resto. La missione ha bisogno di tempo, di tanti ambasciatori e soprattutto di marketing. L’idea è corretta, toccherebbe anche il tema della contraffazione,
ma serve un’azione coordinata con tanti protagonisti. In primis il Comune e la sua Bologna Welcome che Lepore vuole trasformare in Fondazione. «Abbiamo lanciato un sasso nello stagno», dice Vincenzo Vottero affiancato dal direttore generale di Ascom, Giancarlo Tonelli, «la cosa migliore è sicuramente
agire tutti insieme unendo le forze e approntando UD programma che possa essere efficace. Serve una sinergia tra ristoratori, associazioni di categoria, istituzioni, realtà del territorio che rappresentano
brand famosi ed esponenti della ristorazione bolognese negli Usa ». Diffondere divulgare, informare e soprattutto andare là e dimostrare. Si attendono altri Root pronti a battersi per tenere alto il vessillo del ragù e delle tagliatelle. Dopodiché, se proprio ci tengono, si possono fare anche due spaghi, giusto per
fargli capire la differenza.

di Femando Pellerano, il Corriere di Bologna, 7 dicembre 2022

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