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«Sopportiamo da mesi, ora fateci lavorare»

Michele Pettinicchio, titolare del ristorante Pappagallo: «Perdite fino all’80 per cento. E i ristori di Natale non sono ancora arrivati»

Tre ristrutturazioni, grandi investimenti, cucina d’alta qualità. Quando Michele Pettinicchio ha rilevato con la moglie Elisabetta Valenti lo storico ristorante ‘Al Pappagallo’, c’era il boom di Bologna capitale del cibo. «Era il 2017. Puntare sulla ristorazione era l’investimento migliore da fare, oggi è il peggiore», scuote la testa il titolare. Poi è arrivato il Covid. E, con il virus, chiusure, Dpcm, aperture a singhiozzo, colori gialli, rossi e arancione. «Se andiamo avanti così, tutta la ristorazione bolognese verrà azzerata nel giro di uno, due mesi. Io vivo perennemente con la calcolatrice in mano per far quadrare conti che non quadrano mai. In questi dieci mesi ho avuto perdite dal 75 all’80 per cento», dice Pettinicchio, uno dei soci fondatori del comitato ’Tutela ristoranti Bologna’ che raggruppa una settantina di persone.

Il suo comitato ha deciso di presentare ricorso al Tar… «Era già un po’ che ci pensavo: la nostra categoria è discriminata. La situazione sanitaria è peggiorata: ciò dimostra che non è il ristorante il veicolo dei contagi. Io li vedo i giovani che si assembrano sotto la Mercanzia, davanti al mio locale…».

Insomma, non siete voi gli untori… «Macché. È una sofferenza enorme. Sono dieci mesi che sopportiamo, puoi avere le spalle larghe finché vuoi, ma solo con i ristori non vai avanti. Sono cifre ridicole: non vanno a coprire nemmeno il costo di tirare su la saracinesca. E gli aiuti di Natale non sono ancora arrivati».

Con cifre ridicole che cosa intende? «Intendo che se facciamo un altro mese così resistiamo in pochi. Io ho avuto un calo di fatturato dal 75 all’80 per cento, i ristori hanno inciso il 4 per cento e già comprendo quelli di gennaio sebbene non li abbia ancora ricevuti. Per fare un esempio: se una piccola trattoria incassa in tempi normali 20mila euro al mese, i ristori valgono 800 euro. Se sei un ristorante grande e ne incassi 100-150mila, puoi contare su 6mila euro».

Molti suoi colleghi hanno deciso di rinunciare anche ad asporto e consegna a domicilio. Il Pappagallo continua? «Con Capodanno abbiamo deciso di fermarci. E dire che ci abbiamo provato. Siamo stati tra i promotori. Abbiamo puntato su un ricettario per far sì che i nostri clienti riuscissero anche a domicilio ad avere la fragranza e la freschezza dei nostri piatti. Ma il delivery è un servizio che dai al cliente, non un business».

A Natale e Capodanno, però, avete lavorato bene? «Il delivery per il ristorante un costo esageratamente alto. È giusto una coccola… ma per chi non fa hamburger, pizze o prodotti crudi tipo sushi, è difficilissimo. Con lasagne, tagliatelle, la nostra cotoletta, si hanno gli stessi costi del ristorante. Ma lavori molto meno. Il menu delle feste è andato bene? Bene significa: otto consegne alla Vigilia, dieci a Natale, sette a Capodanno».

Nonostante gli incassi a picco, tasse e spese restano… «Già. Il motto è: io ti do cinque e ti chiedo quindici. Così non si può lavorare. Io fra poco dovrò pagare migliaia di euro…».

Con i dipendenti come fa? «Sono in cassa integrazione. Facciamo in modo di farli ruotare nei giorni di apertura. Avevamo 23 dipendenti, ora sono quattordici. I contratti a termine, purtroppo, non ho potuto rinnovarli».

Il Comune può fare qualcosa? «Darci la possibilità di ampliare i dehors è stato un bel gesto. Ma ha inciso per me 4-5mila euro. Io faccio un appello: teneteci aperti. E uccideteci di controlli. Chi non rispetta le regole chiude. Chi, invece, non sgarra fatelo lavorare».

Rosalba Carbutti, Il Resto del Carlino 11 gennaio 2021

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