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«Vorrei donare il plasma ai malati Covid». L’odissea di un paziente guarito dal virus

Beatini, cuoco di 46 anni: «Finalmente, dopo tante telefonate, ero a un passo dalla chiamata, ma serve il tampone di guarigione. Ho solo il certificato dell’Ausl di fine quarantena»

Così sono di nuovo in attesa: aspetto che il centro trasfusionale mi prenoti l’esame». Che cosa c’è di più bello che fare qualcosa per gli altri? È quello che ha pensato Francesco Beatini, 46 anni, cuoco, quando è guarito dal Covid. Ma, uscito dall’incubo della malattia, sta affrontando un’altra odissea per la quale è disposto anche questa volta a combattere. «Non riesco a donare il mio plasma iperimmune con gli anticorpi neutralizzanti che possono diventare una terapia per gli attuali malati», spiega con una terminologia da esperto.

Ma non intende arrendersi e da oltre una settimana sta bussando a varie porte. «Ho sentito i primi sintomi del Covid il 24 ottobre, il 30 ho fatto il tampone al drive-through in Fiera e il 1° novembre ho avuto il referto: positivo. Ho avuto febbre, mal di gola, dolori, ma con gli antipiretici sono guarito. Ero in contatto con il mio medico che il 13 ha scritto all’Ausl per richiedere il secondo tampone, dal momento che non avevo più sintomi. Intanto – ricorda –, visto che non accadeva nulla, ogni giorno chiamavo il Dipartimento di sanità pubblica.

Finché martedì della scorsa settimana, ho ricevuto una telefonata dall’ospedale di Porretta: mi dicevano che ero guarito e che mi sarebbe arrivata la lettera di fine quarantena, perché ormai erano trascorsi 21 giorni e non serviva il secondo tampone». Chiuso il primo capitolo, ecco aprirsi il secondo, dove da una parte c’è la corsa della voglia di solidarietà, dall’altra i tempi dettati dal protocollo scientifico.

«Quando ho ricevuto la comunicazione della guarigione da parte dell’Ausl, ho deciso di farmi avanti – spiega il cuoco –. Era la mattina del 18 e ho chiamato l’Avis, mi hanno passato il loro medico: mi ha detto di prendere un appuntamento perché, non essendo un donatore di sangue, avrei dovuto prima sottopormi a una visita di idoneità. Così ho fissato un appuntamento, ma dopo cinque minuti mi è stato annullato, perché sarebbe stato il trasfusionale a chiamarmi». Passano quattro giorni durante i quali Beatini attende, ma non accade nulla. Poi lunedì un passo avanti.

«Ricevo via WhatsApp un messaggio dall’Avis con l’invito a chiamare i centri trasfusionali del Maggiore o del Sant’Orsola. Parto dal Maggiore perché abito nelle vicinanze – precisa –, ma non riesco a mettermi in contatto. Allora provo con il Sant’Orsola: mi rispondono. Parlo con una dottoressa, mi rivolge delle domande, tra cui anche se ero negativo al secondo tampone, perché così prevede il protocollo regionale. Ma io ho solo il certificato di fine guarigione». E qui la nuova doccia fredda. «Sono di nuovo in attesa – chiarisce Beatini – e questa volta aspetto di essere chiamato per il secondo tampone. Ci tengo a donare il plasma a chi ne ha bisogno e anche se dovessi risultare ancora positivo pazienza, in questo periodo il locale in cui lavoro è chiuso. Certo, mi aspettavo un percorso più veloce. Comunque, appena sarà possibile, ho intenzione anche di donare il sangue».

Donatella Barbetta, Il Resto del Carlino, 27 novembre 2020

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