Con la sentenza n. 118, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 23 luglio 2025, la Corte Costituzionale si è nuovamente pronunciata sulla disciplina dei licenziamenti illegittimi dei lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti (D. Lgs. 23/2015) dal 7 marzo 2015 in poi, dichiarando l’illegittimità costituzionale della parte dell’articolo 9 del medesimo decreto che fissava un tetto massimo alle indennità risarcitorie riconosciute al lavoratore illegittimamente licenziato da un datore di lavoro di piccole e piccolissime dimensioni (non superiore a 15 dipendenti in ambito comunale o a 60 su scala nazionale).
L’articolo 9 del D. Lgs. 23/2015, nel suo testo originario, prevedeva per questi datori di lavoro il dimezzamento sia della misura delle indennità risarcitorie in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, sia dell’offerta conciliativa e stabiliva che, in ogni caso, non poteva superare le 6 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto. Si trattava di un tetto introdotto in coerenza con il sistema già previsto per i datori di minori dimensioni dalla L. 604/1966, con lo scopo di non appesantire eccessivamente la responsabilità risarcitoria delle micro e piccolissime imprese.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118, ha eliminato il limite massimo delle 6 mensilità ritenendolo troppo esiguo e, pertanto, in caso di licenziamento illegittimo la misura dell’indennità risarcitoria sarà stabilita dal giudice da un minimo di 3 ad un massimo di 18 mensilità, in base ad una serie di criteri (natura e gravità della violazione, comportamento e condizioni delle parti, dimensioni del datore di lavoro e anzianità di servizio del lavoratore); inoltre, in caso di attivazione della procedura dell’offerta conciliativa la misura minima e massima dell’offerta sarà rispettivamente pari a 1,5 e 13,5 mensilità (ovvero la metà dei limiti massimi applicabili nei confronti dei datori di lavoro di maggiori dimensioni) in funzione dell’anzianità aziendale (mezza mensilità per ogni anno di anzianità).
La sentenza ha effetto sui licenziamenti intimati successivamente al 23 luglio 2025 (data di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale) e sui licenziamenti intimati precedentemente a tale data con causa ancora pendente.
Questa apertura a un maggiore margine discrezionale del giudice comporta per le piccole imprese un’incertezza sensibilmente superiore rispetto al passato, aggravando il contenzioso e aumentandone i costi potenziali.
La sentenza n. 118/2025 rappresenta l’ennesimo intervento correttivo della Corte Costituzionale sulla disciplina del D. Lgs. 23/2015, che dal 2018 in poi è stata oggetto di numerose censure, determinando un quadro normativo estremamente frammentato e disomogeneo. Per citare solo quelle più significative, la sentenza n. 194/2018 ha eliminato il meccanismo di quantificazione dell’indennità risarcitoria in base della sola anzianità di servizio e la sentenza n. 59/2021 ha esteso la possibilità di reintegrazione nei casi in cui il licenziamento si fondi su un fatto materiale manifestamente insussistente.
Questa stratificazione giurisprudenziale rende oggi la normativa in materia di licenziamenti estremamente complessa, poiché l’applicabilità delle diverse tutele (reintegrazione, indennizzo e misura dell’indennità risarcitoria) varia in funzione di una molteplicità di fattori, tra cui:
- la data di assunzione (ante o post 7 marzo 2015);
- la dimensione del datore di lavoro (più o meno di 15 dipendenti in ambito comunale o 60 in ambito nazionale);
- la tipologia del vizio del licenziamento (giusta causa, giustificato motivo soggettivo o oggettivo, illegittimità per vizio procedurale, licenziamento nullo o discriminatorio);
- l’evoluzione interpretativa e correttiva della Corte Costituzionale.
Si evidenzia che la sentenza n. 118/2025 non ha effetti sui licenziamenti di lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015, per i quali, in caso di sentenza di illegittimità del licenziamento la misura dell’indennità risarcitoria è ancora compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.
La sentenza n. 118/2025 accresce la pressione e l’incertezza per le micro e piccolissime imprese e rende necessario un intervento normativo che coniughi le esigenze di sostenibilità organizzativa ed economica di questa categoria di imprese – che costituisce la spina dorsale del sistema produttivo nazionale – con le tutele dei lavoratori.
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