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«Ripartiti in trenta mesi. Mai in cassa integrazione»

Marco Cervellati (ad Comet): «Nel sisma perdemmo lo stabilimento di Mirandola In un anno e mezzo passati da vendere nei tendoni a un negozio di proprietà»

«Fu uno choc tremendo. Era il 29 maggio e stavo andando allo stabilimento di Mirandola per vedere cosa si fosse salvato dopo la prima scossa. Ero alle porte del paese quando iniziò a tremare tutto: case e palazzi iniziarono a crollare sotto i miei occhi». Marco Cervellati, amministratore delegato di Comet, insieme al fratello Davide (anche lui ad) e al padre Sante (presidente), ripercorre così i tragici giorni che misero in ginocchio l’Emilia-Romagna. E, con lei, migliaia di imprese.

Cervellati, torniamo a quel maggio 2012. Cosa ricorda?

«Tutto. Già la prima scossa, quella del 20 maggio, causò ingenti danni al nostro punto vendita di Mirandola. Vennero giù pezzi del soffitto. Stavamo capendo come intervenire quando ci fu la seconda grande scossa. Fu subito chiaro che lo stabilimento era ormai inagibile».

E poi?

«Insieme ai vigili del fuoco, una cinquantina di nostri dipendenti si mise al lavoro per tirare fuori il poco che si era salvato. Lavorammo, con i caschi di protezione in testa, per 24 ore di fila. Fu un grande esempio di collaborazione». 

Una bella storia, certo, ma piena di difficoltà. 

«Per un mese, ogni giorno, andai a Mirandola. Vidi la disperazione delle persone: tanti dormivano nelle tende, altri nei camper. La Comet stessa mise a disposizione dei veicoli per i dipendenti sfollati. Alla fine, l’azienda subì danni per circa tre milioni di euro. Quello che non mancò mai, però, fu la tenacia, la volontà di rialzarsi».

Il materiale salvato dove finì?

«Nei punti vendita vicini, come quello di San Giovanni in Persiceto. Ma il nostro problema era permettere ai dipendenti di lavorare. L’ipotesi ’cassa integrazione’ non fu mai presa in considerazione: molti di loro avevano perso tutto, avevano bisogno di lavorare. Così, in un giardino pubblico, allestimmo subito un negozio improvvisato, all’interno di un tendone da 200 metri quadrati».

Per quanto tempo?

«Rimanemmo lì un mese. Poi, per fortuna, riuscimmo a trovare un nuovo complesso a Mirandola, che non aveva subito grossi danni. Lo affittammo da una società concorrente, che acquisimmo: tutti i loro dipendenti entrarono in Comet. Nessuno perse il lavoro, anzi qualcuno lo trovò».

Ma non fu l’ultimo step nel vostro percorso di ripartenza. 

«Esatto. Volevamo un edificio di proprietà. Il capannone danneggiato dal sisma era in affitto, così come quello in cui ci trovavamo temporaneamente. Quindi, nel dicembre 2013, ad appena un anno e mezzo dal terremoto, inaugurammo un nuovo punto vendita a Mirandola da 5.500 metri quadrati. Un impianto più grande e fornito del precedente, con l’aggiunta dei reparti dedicati al materiale elettrico e all’illuminazione, gli altri nostri principali business, che prima non erano presenti».

In poco tempo avete dovuto gestire situazioni diverse…

«Sì, siamo passati da essere in affitto ad avere un negozio ’di fortuna’ in una tenda, da acquisire un complesso ’concorrente’ a costruire un punto vendita di proprietà. E tutto è successo in un anno e mezzo: aprimmo il nuovo negozio in uno ’scenario di guerra’, mentre il centro storico era chiuso e tante attività erano ancora nelle casette in legno. Credo sia una storia esemplare di ripartenza».

La ripresa è stata anche frutto dei fondi stanziati dalle istituzioni?

Qualcosa abbiamo ricevuto, ma siamo partiti a ricostruire subito, senza attendere l’aiuto dello Stato. Quando abbiamo cominciato a rimetterci in piedi, non sapevamo se e quante risorse sarebbero arrivate».

Com’è, da imprenditore, fare i conti con un disastro del genere?

«Non è facile. Oltre ai danni per l’azienda, bisogna pensare alle tante famiglie che dipendono da Comet. Il nostro primo pensiero è andato a loro, perché nessuno rimanesse senza lavoro. E ce l’abbiamo fatta».

Gabriele Bonfiglioli, Il Resto del Carlino – 20 maggio 2022

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