Così rinascono le disco. Giovetti del Qu Bo: “Ma qui niente minorenni”
La prima regola è non presentarsi mai prima delle 23.30, la porta sarebbe chiusa. Passano gli anni, ma tutto resta uguale: in disco non si va mai prima di quell’ora. Via Sampieri, un minuto prima è deserta, subito dopo spuntano le transenne per dirigere il traffico di giovanissimi davanti al QuBÒ, l’unica discoteca del centro ancora aperta dopo la disfatta di Hobby One e Kinki. Mentre gli altri abbassano le saracinesche, gli imprenditori della notte le aprono. La città si prepara per dormire, loro bevano caffè per le ore piccole. Il giovedì vale come il sabato, tutti in pista per le notti delle discoteche che si rimettono in moto dopo due stagioni di turbolenza. Hanno riaperto I’ll febbraio, si comincia a tirare il fiato dopo mesi di chiusure per le norme Covid che li ha penalizzati.
«Siamo stati i più chiusi», dice Oliviero Giovetti mentre controlla che i dipendenti abbiano la mascherina. All’ingresso del QuBÒ si è già formata una lunga coda, un centinaio di persone: sono, come sempre qui, studenti universitari, 25 anni al massimo, molti Erasmus. Una babele di lingue, soprattutto spagnoli e americani. Green Pass da una parte, carta d’identità dall’altra: «Qui i minorenni non entrano», prosegue Giovetti che lavora “nella notte” da 30 anni, da 15 è presidente di Silb Ascom, Associazione imprese d’intrattenimento ballo e spettacolo, da 10 gestisce il Qubò, d’estate pure lo Chalet ai Giardini Margherita. Intanto, al piano di sotto del locale di via Sampieri dove c’erano le carceri di Palazzo Pepoli, i ragazzi ballano avvolti da luci fucsia e rosse. Scorre “Forever Young” degli Alphaville, versione remix. Qui va il Reggaeton, misto di hip hop e afro. Si fanno selfie, si baciano, bevono long drink. Fa impressione vedere tutti senza mascherina, ma sono in regola. In pista non serve: «Da utilizzare nei luoghi non adibiti al ballo», recitano i cartelli ovunque. Altra pista, stesse norme. Al Vivi Le Grotte di San Pietro in Casale, dove l’età si abbassa ancora, si balla solo il venerdì e il sabato: tre sale, generi diversi, anche il latino e la musica live. «Da domani – spiega il titolare Orazio Rizzato – toma la capienza al 100% anche al chiuso, finalmente. Ma oltre alle norme, vedo che le abitudini sono cambiate, c’è poca affluenza, inutile negare che il momento è difficile».
Non sono più gli anni d’oro delle discoteche. Il picco, racconta Silvio Forcione del Silb, è stato il 1996 per numero di locali e incassi: in Italia le discoteche erano 5.200, a Bologna una trentina. Ora sono 2.000, in città e provincia sono 8. Si ballava cinque sere a settimana, c’era il rito della domenica pomeriggio. I gusti sono cambiati, il settore è entrato in crisi prima del Covid. «Adesso si balla ovunque, la concorrenza è spietata, nei ristoranti, nei circoli, nei bar, nei capannoni, luoghi che spesso non hanno standard di sicurezza come noi: agibilità, buttafuori, uscite di sicurezza», dice Giovetti. L’abusivismo ha dato una mazzata economica, poi la pandemia ha fatto il resto. Ora i conti si fanno coi ristori, pochi ma arrivati. «È stato il presidente della Regione che più si è speso per il settore, sa cosa rappresentano le discoteche per il nostro turismo». A parlare di Bonaccini è Marco Tiraferri da Misano Adriatico, cresciuto a piadina e disco in quell’angolo di Romagna dove lo skyline della collina è segnato da templi come Villa delle Rose e Peter Pan, che oggi gestisce assieme ai soci, oltre al bolognese Matis di Casteldebole. Qui si scende in pista il venerdì e il sabato, il target è più alto perché si fa anche ristorazione. «La ripresa c’è, ma non è tempo di fare bilanci perché veniamo da due anni di catastrofi che sarà impossibile mettersi alle spalle».
Sabrina Camonchia, la Repubblica -31 marzo 2022
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