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I Ristoratori e il Green pass

Pizza e documenti, no grazie «Siamo osti, non poliziotti». Per Vincenzo Vottero (Ascom) dovrebbe bastare un’autocertificazione

Favorevoli alle vaccinazioni, certo. Ma anche determinati a continuare a servire lasagne e tagliatelle senza trasformarsi «nei poliziotti del Green Pass», per dirla col presidente di Confesercenti Massimo Zucchini. Perché oltre a verificare con un’apposita applicazione (che si chiama Verifica C19) la validità del Green Pass dei propri clienti, dalli agosto per poterli far sedere all’interno gli osti dovranno anche verificare la loro identità, per essere sicuri che non esibiscano il certificato vaccinale della mamma settantenne o dell’amico che ha fatto l’open day, tanto per fare un esempio. Solo che questo ai ristoratori proprio non va giù.

«Ma siamo pazzi? Buongiorno pizza e documenti? E cosa siamo diventati?», sbotta uno di loro. Zucchini, dal suo pub in via Caduti di Cefalonia, la riassume così: «A livello generale siamo tutti favorevoli alla vaccinazione – dice – ma siamo molto perplessi sul Green Pass perché si applica in pochissime situazioni: se te lo chiedono nei ristoranti perché non lo fanno anche negli alberghi, nei centri commerciali, negli uffici pubblici o sui bus? Poi c’è la questione politica: noi siamo osti, non poliziotti. Preferiamo fidarci dei nostri clienti e rischiare la multa che trasformarci in controllori». Multa che, avvisa Matteo Musacci della Fipe regionale, sarà di 400 euro minimo e «scatta sia per il ristoratore che per il cliente».

Poi c’è il personale: per adesso baristi e camerieri non sono menzionati nel decreto, ma probabilmente anche per loro scatterà l’obbligo del Green pass da fine del mese. «A Bologna però – dice Zucchini – hanno cominciato la vaccinazione della fascia 20-24 pochi giorni fa, quindi prima che i giovani abbiano il pass ci vorrà un bel po’ e questo vale per moltissimi camerieri. Poi c’è il discorso della privacy. Quello che vedo è che in giro c’è una situazione di tensione molto alta. E alla manifestazione di sabato c’erano anche diversi ristoratori». Tanti. E non soltanto l’immancabile ex grillino Giovanni Favia, oste del Va Mo Là in via delle Moline, che oggi dice: «Sabato ci sono passato e devo dire che non mi aspettavo così tanta gente in piazza: ho visto tante persone che conoscevo. Lo Stato vuole rendere il vaccino obbligatorio? Benissimo. Non farlo ma rendere la vita impossibile a chi non si vuole vaccinare però è meschino».

Poi c’è una serie di casi particolari. Per esempio: viene a piovere sul dehor e alcuni clienti non sono vaccinati né tamponati: devono andare via? E chi viene da fuori Europa, per esempio dalla Svizzera, e non ha il Green Pass? Senza contare la faccenda dei lavoratori, che sul decreto ancora non ci sono: se scatta l’obbligo anche per loro con chi non è vaccinato che si fa? «Io avevo il lavapiatti che non voleva vaccinarsi – dice Musacci – gli ho detto che o stava a casa, pagato, oppure mi portava un tampone ogni due giorni e lavorava, allora si è convinto».

Per Vincenzo Vottero (Ascom) dovrebbe bastare un’autocertificazione: «Ormai si fa per tutto, perché non si può fare per il vaccino? Poi qualcuno mi deve spieghi perché è obbligatorio all’interno dei ristoranti, ma non nei supermercati e nelle chiese». Roberta Rondelli (Camera a Sud e ristorante Via con me), ragiona: «Non si capisce perché debbano sempre colpire il nostro settore, insieme a quello della cultura, come se fossimo quelli superflui». Filippo Venturi, titolare della trattoria Montanara, della Montanarina, e del Chioschetto di via Codivilla, dice: «Nella frenesia del momento può diventare difficile fare questo lavoro a metà tra il gendarme e il dottore, ma le alternative non ci sono: finché la gente non si vaccina non ne usciamo». Poi c’è chi come Vincenzo Cappelletti, titolare della Cantina Bentivoglio, del Paradisino e di Polpette e Crescentine (80 dipendenti) si autodefinisce «dalla parte governativa». E spiega: «Se dobbiamo andare avanti col rischio di ulteriori limitazioni o peggio ancora della chiusura, potenzialmente è meglio lavorare col 60-70% dei clienti. Quelli che vanno in piazza mi sembrano un po’ esagerati e c’è una strumentalizzazione della destra, quindi me ne sto alla larga. La privacy? Quella non esiste più da un pezzo: non prendiamoci in giro».

Caterina Giusberti, la Repubblica -27 luglio 2021

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