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«Jazz club, salti mortali cercando di resistere»

Dalla Cantina Bentivoglio al Bravo Caffè, fino a Piero Odorici e Marco Coppi: «Il decreto non ci considera, ma pensiamo a delle soluzioni»

In tempi in cui il virus ridisegna i calendari si finisce per temere di tutto, a cominciare dalla sindrome di Robinson Crosue, eccessi di spostamenti che divengono eccessi di assembramenti, avamposti del contagio a discapito di chi rispetta le regole, come gli hobbisti della musica. «Help Us Keep the Music Alive!» (aiutateci a non far morire la musica): è l’esortazione che titola il sito di un live club del centro. Quel che è certo è che la cultura non si ferma nonostante un semi-lockdown si sia abbattuto sulla resilienza di chi frequenta discretamente gli show dal vivo, accompagnati o meno alla ristorazione.

Per Giovanni Serrazanetti, co-titolare della Cantina Bentivoglio nonché presidente dei jazz club d’Italia, c’è una verità scomoda da sottolineare: «La dico come va detta: i cinque miliardi del ‘Dl ristori’ per il tempo libero non c’impediscono di farci sentire delle vittime sacrificali, molte delle attività dei servizi di ristorazione per bar e pub consentite dalle 5 alle 18 da qui al 24 novembre dovranno chiudere, ma sono ben altre le occasioni in cui il virus si diffonde». Previsione o sentenza? «Conclusione amarognola. Se chiudi alle 18 la gente che torna dal lavoro poi va a casa. Una presa in giro solo che si pensi che il 90 per cento delle persone non va al ristorante e il 10 per cento che ci va non prende il bus».

Qualcosa per cui battersi subito? «Ho chiesto in Regione se all’attività di ristorazione si possa aggiungere l’intrattenimento. La Confesercenti è d’accordo da tempo, se mi dicono di sì anche da viale Aldo Moro fin da domenica faremo intrattenimento musicale, dalle 15 alle 17. Penso anche di utilizzare la Cantina a porte chiuse, perché i musicisti possano esibirsi di fronte a una mini-platea, come fa da tempo lo Smalls a New York. Registrando quanto viene suonato la domenica per riproporlo durante la settimana su Lepida Tv, sempre che sia riattivata». Perfettamente allineato il punto di vista di Piero Odorici, sassofonista nonché direttore artistico del Camera Jazz & Music Club: «Siamo arrabbiati, delusi e depressi. Le ultime ‘venue’ che dovevano chiudere sono i teatri, i cinema e i live club, luoghi in cui secondo i dati Agis forniti dalle Asl la percentuale di contagio è pari a zero. Abbiamo bonificando tutto, da virtuosi di prima classe, dimezzando il numero degli spettatori, ma pagando i musicisti come prima. L’apertura del 4 settembre è stata un successo, qui la gente si sente protetta, ma vorrei cercare di capire se si possono fare i concerti di pomeriggio. Sono i tremila ragazzini assiepati nelle vie del centro che aggravano la situazione». Strategie per il rilancio? «Una sola: appena possiamo apriamo. Più in là voglio fare un nonetto con Pieranunzi. Peccato sia saltata la presentazione del cd dell’Erj Orchestra Cedar’s Blues, che negli store digitali esce oggi. Si comprarlo sia al club che nei negozi».

Per Marco Coppi, flautista e stratega del format Liber Paradisus ospitato dal circolo Arci di San Lazzaro di Savena, la sensazione è che il mondo della cultura venga considerato un comparto di serie B: «Questo accade non da oggi, purtroppo. Dopo il disagio e il danno subiti nel primo lockdown, la serrata di teatri, cinema e sale da concerto andava evitata. Come operatore del settore ho visto che i luoghi preposti allo spettacolo erano gestiti con la massima attenzione alla sicurezza. Il virus c’è, ma l’impedimento della socialità in sicurezza espressa nei luoghi della cultura è una ferita grave».

Max Cattoli, patron del Bravo Caffè, un avamposto tenace, paragona il semi-lockdown all’espressione di un «rottamatore» che ha fatto il giro del mondo: «Prima ti dicono ‘state sereni’ che alla seconda ondata siamo pronti, poi scopri che sono molto più in difficoltà che nella prima. A noi, povere vittime di una sorta di decimazione, il Dpcm non indica quello che dobbiamo fare tra dieci giorni, ma subito». Differenze con il primo isolamento collettivo? «Non c’è più quella forma di giocosa unità per cui si cantava e suonava sui balconi». Che cosa v’inventerete? «Appuntamenti spot di domenica che chiamerò ‘atti di resistenza’, per esempio con una Chiara Civello a pranzo. In questa Silvia Mandolini ed Enrico Guerzoni, duo del Comunale, inaugurano Il ‘classico pranzo della domenica’. Spero pure di recuperare prima possibile la Stand Up Comedy».

Gian Aldo Traversi, Il Resto del Carlino 30 ottobre 2020

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