Le riflessioni dell’arcivescovo a dieci anni dalla nomina durante l’evento promosso da Confcommercio «I portici simbolo dell’abbraccio tra pubblico e privato.
Matteo Zuppi è arrivato a Bologna nel 2015 e «la città è molto cambiata» negli ultimi dieci anni. «Ha scoperto il turismo o il turismo l’ha scoperta, non ho ancora capito», scherza intervistato dal giornalista Aldo Cazzullo, nel salone del podestà di Palazzo Re Enzo. L’arcivescovo parla dal palco di ‘InCittà’, l’evento promosso da Confcommercio in occasione degli 80 anni dell’associazione, che per due giorni ha alzato i riflettori sulle trasformazioni urbane e sull’economia che cambia. Don Matteo però ha scoperto diverse cose, da quando è diventato ‘bolognese’. «Ad esempio che i portici non sono del Comune, ma dei condomini, con i cittadini che se ne prendono cura – puntualizza -. Ecco, allora mi auguro che questa dimensione dove pubblico e privato si abbracciano come nei portici, uno degli aspetti più belli di Bologna, possa crescere ancora, aiutando a vivere la città in maniera umana».
Ha scoperto, soprattutto, come Bologna cerchi di «mantenere un equilibrio» proprio mentre tante altre città d’Italia perdono la propria dimensione «a misura d’uomo» e tutto si fa «più anonimo». «Per fortuna qui c’è ancora tanta accoglienza – sottolinea il cardinale, presidente della Cei -. Saranno i portici, sarà una certa attitudine, sarà la presenza dell’università e degli studenti, non lo so… Ma tutto sommato Bologna dà ancora dei riferimenti: c’è una dimensione meno impersonale, più umana».
Le chiese, però, si svuotano. E i negozi, troppo spesso, chiudono. «Ormai è difficile trovare attività di artigianato o di vendita al dettaglio, perché tutto si è un po’ semplificato». Poi c’è il tasso di denatalità che cresce, «il cardinale Biffi lo diceva già nel 1992, immagino cosa direbbe oggi…».
«Città bloccate e fisse non esistono, cambiano come cambiano le generazioni – aggiunge ancora don Matteo -. II sindaco ha ricordato come Bologna cambi un quarto dei suoi abitanti ogni cinque anni: questa è una grande sfida. Chiudersi pensando di stare bene nel proprio territorio, invece, è una grande tentazione: è la fine. È una condanna. Se non si fa rete, non c’è futuro: bisogna garantire un tessuto e un legame di comunità, una identità e un’apertura al mondo e all’altro». L’Appennino su questo aspetto ha tanto da insegnare, per Zuppi: «Le aree interne rappresentano le nostre radici. Più del 50% dei comuni italiani è costituito da comuni piccoli, di poche centinaia di persone, in cui ancora si vive il senso di comunità. Quando vado nelle nostre aree interne, soprattutto in montagna, trovo ancora una grande comunità: c’è qualcosa che unisce. Questa è la strada per creare una città a misura d’uomo, in cui non prevalga la paura di sentirsi a casa».
f.m., Il Resto del Carlino – 22 novembre 2025