Sangalli e le misure sul lavoro. «La detassazione sia per tutti»

Il presidente di Confcommercio: giusti gli sgravi sui rinnovi contrattuali, ma troppi ne sono esclusi. «I consumi ripartono, ma tagliare l’Irpef ai ceti medi non è sufficiente. E occorre superare l’Irap»

«L’economia è sostanzialmente ferma anche se si intravede qualche segnale positivo – avvisa il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli –. I consumi, pur rimanendo deboli, cominciano a rimettersi in moto, a partire dal turismo che a settembre, soprattutto nella componente straniera, è andato bene. Per rilanciare la crescita occorre restituire fiducia alle famiglie, rafforzare il potere d’acquisto e ridurre il costo del lavoro».

La manovra approvata dal governo va in questa direzione?

«È una manovra responsabile perché tiene insieme sostenibilità dei conti pubblici e sostegno a famiglie e imprese. In particolare, ci sono scelte che vanno nella direzione giusta, come la riduzione della seconda aliquota Irpef. Ma non basta e occorre fare di più per spingere competitività, consumi e investimenti».

La riduzione della seconda aliquota Irpef può servire a rilanciare i consumi?

«È una misura che chiedevamo e che aiuta il ceto medio. Ma occorre estendere la riduzione di aliquota ai redditi fino a 60.000 euro, perché il drenaggio fiscale rischia di vanificarne gli effetti. E poi resta il grande assente: il superamento dell’Irap. È un’imposta aggiuntiva che frena la competitività delle imprese. Occorre completare definitivamente il percorso di abolizione, a partire dalle società di persone e dalle associazioni tra professionisti».

Per sostenere i salari la manovra prevede anche la detassazione degli aumenti contrattuali: la condividete?

«Il principio è giusto e lo rivendichiamo da anni: rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori tagliando le tasse sugli aumenti contrattuali. Ma la norma, così com’è, è iniqua perché limita il beneficio ai soli rinnovi sottoscritti nel biennio 2025-2026. Questo, di fatto, esclude oltre 5 milioni di lavoratori del terziario di mercato, compresi terziario, turismo e ristorazione, che hanno contratti rinnovati nel 2024 ma con aumenti che scattano nel 2026 e 2027. In pratica, due lavoratori che fanno lo stesso mestiere, nella stessa azienda, rischiano di vedersi trattati diversamente solo per una data di firma».

Chiedete di intervenire in Parlamento per sostenere anche i rinnovi effettuati nel 2024?

«È una discriminazione che va sanata. Occorre adottare un criterio in base al quale l’aumento retributivo venga tassato con il regime fiscale agevolato nel momento in cui viene corrisposto, indipendentemente dalla data di sottoscrizione del contratto collettivo. E non basta, perché manca un elemento decisivo».

Quale?

«La norma non richiama i contratti comparativamente più rappresentativi. Così finirebbero per essere agevolati anche i contratti pirata: una distorsione inaccettabile. Proprio per questo abbiamo scritto alla ministra Calderone di riformulare la misura affinché ricomprenda nel beneficio solo i contratti collettivi nazionali firmati dalle sigle comparativamente più rappresentative, quelle che rappresentano realmente lavoratori e imprese. Non possiamo rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori indebolendo il mercato del lavoro».

Questo anche per contrastare il dumping contrattuale?

«Certo. È una vera e propria emergenza: oggi in Italia convivono oltre mille contratti depositati al Cnel, e nel solo terziario più di duecento sono pirata. Non tutelano nessuno: né imprese, né lavoratori. Parliamo di contratti senza quattordicesima, con ferie e permessi ridotti, welfare inesistente e livelli retributivi che – rispetto al Contratto collettivo del terziario – fanno perdere a ogni lavoratore mediamente 8.000 euro. È concorrenza sleale, punto. E penalizza proprio le imprese che rispettano le regole».

Che cosa proponete per contrastare il fenomeno?

«Contro il dumping contrattuale abbiamo presentato sei proposte al governo: comunicazione obbligatoria del contratto applicato, certificazione della rappresentatività, definizione dei perimetri contrattuali, controlli più efficaci, rafforzamento della bilateralità e principio del contratto più protettivo. Non è una battaglia corporativa: è una battaglia di civiltà economica e sociale».

Un’altra delle vostre richieste riguarda la detrazione sui consumi culturali: perché ci puntate?

«È una richiesta che riteniamo importante perché oggi oltre il 75% degli italiani considera la cultura fondamentale, ma più di uno su quattro rinuncia per ragioni economiche. La cultura è economia, occupazione, crescita. Una detrazione dedicata rafforzerebbe un settore che vale miliardi ma che ha sofferto moltissimo. E permetterebbe alle famiglie, soprattutto con figli e redditi medio-bassi, di tornare a teatro, al cinema, ai musei».

Claudia Marin, QN -Il Resto del Carlino – 18 novembre 2025

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