Centri storici contro centri commerciali: meglio aprire in città? Intervista a Enrico Enrico Postacchini

Pro e contro di una scelta che privilegia le location cittadine per rivitalizzare i centri storici e offrire prodotti e servizi alla comunità

Gli acquisti nei centri commerciali sono ormai nelle abitudini delle famiglie, che trovano in un unico luogo negozi, food court, centri servizi, cinema e intrattenimento. 

In Italia ce ne sono 997, con una crescita dello 0,9% negli ultimi 5 anni, altri 15 in apertura entro il 2027. A questi si aggiungono 319 parchi commerciali, aggregazioni di grandi negozi, e 30 factory outlet. I parchi si sviluppano di più (+10,1%), i factory e travel sono in lieve calo (Osservatorio Retail Real Estate, dati Reno Your Retail Partners – Confimprese).

I 1270 poli commerciali registrati dall’Osservatorio Cncc-Ey (Consiglio nazionale dei centri commerciali – Ey Parthenon) ospitano 40.500 negozi e 1, 9 miliardi di presenze annue. Un giro di affari di 171 miliardi di euro, che incide sul Pil per il 4,6% e dà lavoro a quasi 750mila persone (dati 2022). Il sistema, nonostante il protrarsi dell’instabilità macroeconomica, a giugno 2025 ha registrato una crescita (+0,7%) e affluenze in aumento (+0,8%), con trend degli ultimi 12 mesi al +1,7%. Crescono le attività di servizi e della cura della persona. 

L’alternativa storica nelle città

Ma chi ha risposto ai bisogni dei consumatori, prima che i centri commerciali diventassero nuove cattedrali di acquisti e consumi?

In Italia ci sono circa 7900 Comuni, meno di un migliaio sono “città”. Molti sono centri abitati con una storia secolare, paesi e borghi spopolati o in fase di rivitalizzazione, anche grazie a iniziative politiche, finanziamenti pubblici, turismo slow.

Ognuno di questi centri ha un nucleo di strade, quartieri, periferie dove sono nate botteghe, negozi, pubblici esercizi, ristoranti, con una notevole fioritura nel secondo Dopoguerra. Le grandi città sono addirittura policentriche e hanno zone vocate commercialmente, vie specializzate. Vi operano attività che fino ai giorni nostri hanno offerto prodotti e servizi agli abitanti, affiancate da mercati e fiere locali. La costruzione dei centri commerciali, la loro concorrenza in termini di servizi e prezzi hanno inferto un duro colpo ai negozi dei centri storici. Vendite in calo, affitti e fiscalità i pesanti, mix merceologici non al passo coi tempi, mancato ricambio generazionale… Tante saracinesche si abbassano. E restano serrate. Non si tratta di un mero dato economico negativo. Dove chiudono i negozi, mancano vita sociale e presidi di legalità. E avanza il degrado. Per contrastare la desertificazione dei centri storici, che coinvolge tutti i negozi e le attività, comprese quelle in franchising, è nato in Italia Cities “Città e Terziario: Innovazione Economia Socialità”, un progetto di Confcommercio e Anci Associazione Nazionale Comuni italiani, che cerca soluzioni per il rilancio dei centri urbani e il sostegno delle economie di prossimità. Guida il progetto Enrico Postacchini, presidente di Confcommercio Ascom Bologna e Confcommercio Emilia Romagna, membro della Giunta di Confcommercio nazionale, con l’incarico “commercio e città”. Con lui puntualizziamo il confronto tra centri commerciali e centri cittadini.

Intervista a Enrico Enrico Postacchini. Desertificazione dei centri urbani: i centri commerciali sono la causa?

«Oggi no. Passati i primi decenni, in cui hanno contribuito a un dirottamento e a un cambio di abitudini dei consumatori, poi il confronto si è normalizzato. Ora anche i centri commerciali soffrono per il calo di consumi generale. Questo rallentamento è il primo problema per tutti. I centri commerciali sono meno elastici. Le grosse strutture hanno un’unica proprietà, cui i commercianti sono vincolati con contratti di affitto d’azienda e orari protratti, che rendono necessario un maggior numero di dipendenti. Costi pesanti che si compensano solo con grandi flussi. La vera concorrenza sono le piattaforme che vendono on line. Non sono sottoposte alle stesse regole dei negozi reali. C’è un vuoto normativo che dev’essere colmato».

La costruzione di nuovi centri commerciali è una tendenza in crescita o siamo alla saturazione? 

«C’è un rallentamento, salvo rari casi. La proliferazione dei centri commerciali sta segnando il passo».

C’è spazio per il ritorno ai negozi di prossimità, che popolano e ripopolano i centri storici, offrendo merci e servizi a 5 minuti da casa, per una migliore qualità di vita di chi abita in città?

«È il nostro mantra. Noi siamo per il lavoro dei negozianti, un valore inestimabile, da cui discende un beneficio per la qualità di vita di tutti e della comunità. La rigenerazione cui puntiamo è sì edilizia, per migliorare il decoro e la sicurezza dei centri cittadini, ma vogliamo ricreare un sistema di attività nate fin dagli anni 50 e 60, che sono anche un ammortizzatore sociale. Occorrono però politiche attive specifiche per supportare i negozianti. Oggi uno ci pensa molto prima di mandare avanti o avviare un’attività, l’asticella è troppo alta. C’è poco entusiasmo, molta disillusione. Bisogna recuperare anche le giovani generazioni che difficilmente si dedicano a questo tipo di impresa. In Confcommercio, diamo servizi fin dalle analisi preliminari per capire se vale la pena di aprire in quel centro, in quel quartiere. Ma nessuno può cancellare il rischio imprenditoriale. Assumerselo richiede una certa attitudine psicologica e familiare. L’impresa italiana è peculiare: famiglie disposte a vendersi l’ultimo bene pur di non fallire. Non abbiamo il cinismo imprenditoriale di altri popoli, che chiudono e ripartono senza problemi. Comunque, anche da noi ci sono ancora imprenditori “pazzi” che non rinunciano di fronte a difficoltà oggettive. Ovunque, anche nei centri storici».

Centri storici: possono essere considerati centri commerciali a cielo aperto? 

«Sì, vanno sostenuti, valorizzati e caratterizzati, con strategie di marketing mix. Dopo le liberalizzazioni, è venuto a mancare un sistema di controllo da parte degli enti locali, che disciplinava la concorrenza. Ora non bastano ordinanze restrittive per equilibrare la presenza di negozi o attività affini e controllare l’affidabilità e i requisiti di chi investe i suoi soldi».

Diversità sostanziali tra location nei centri storici e nei centri commerciali?

«I centri commerciali sono bozzoli, che implicano costi importanti e investimenti sostanziosi, ma l’aspetto sicurezza è più preservato. Chi apre in città è in balia dei suoi umori, un contesto vivace ma, in certe circostanze, meno sicuro. E con meno servizi e comodità per la clientela, a cominciare dai parcheggi».

Come si deve scegliere la location migliore per la propria attività?

«Bisogna partire dal prodotto e servizio per individuare le aree della città più adatte. A Roma dicono: “In un bell’angolino è bravo anche un cretino”! La posizione è fondamentale, ma dipende anche dal target di clientela. La città però è mutevole, cambiano le condizioni e le caratteristiche delle zone, i flussi. Possono essere necessari spostamenti e trasformazioni dell’attività, nel tempo. Mai stare tranquilli! La programmazione delle piccole attività e fondamentale, ma complicata. Le attività che tengono duro, anche nel passaggio generazionale, lo devono alla costanza e la cocciutaggine degli imprenditori».

Se ci si affilia a una rete in franchising, può essere preferibile uno spazio standard in un centro commerciale oppure i format vanno calati in spazi storici, per essere più originali e non omologarsi? 

«La scelta va fatta tra franchisee e franchisor. Possono anche esserci le due opzioni, un negozio in città e uno nel centro commerciale, dipende dalla capacità di sviluppo e dai risultati economici. Tendenzialmente, le attività in franchising si vedono di più nei centri commerciali. Ma prosperano anche nelle vie commerciali, dipende dai target».

Come conoscere meglio il progetto Cities? 

«La sperimentazione va avanti in alcune città. Il 20-21 novembre realizzeremo la prima edizione di InCittà, un evento a Bologna che prevede incontri con le istituzioni, dibattiti e approfondimenti».

Express Franchise, 6 ottobre 2025

Confcommercio Ascom Bologna

Enrico Postacchini, presidente di Confcommercio Ascom Bologna e Confcommercio Emilia Romagna, membro della Giunta di Confcommercio nazionale, con l’incarico “commercio e città”, uno dei responsabili e ideatori del progetto Cities di Confcommercio

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