Non Chiamatele “zone rosse”

Il questore Sbordone «Piazza XX settembre, teniamo alta la guardia Ma i risultati si vedono»

Piazza XX Settembre non è una piazza come le altre. «È un luogo di passaggio, è un nodo nevralgico tra la stazione e il centro, è a due passi dalla Montagnola. È uno spazio su cui non dobbiamo mai abbassare la guardia, perché gli spacciatori, appena ne intravedono la possibilità, tornano». Il questore Antonio Sbordone è consapevole che il lavoro di chi è preposto alla sicurezza non finisce mai. In piazza XX Settembre è così. Da sei mesi, il progetto per la riqualificazione dell’area, affidato dal Comune ad Ascom, ha contribuito a riempire gli spazi, nell’obiettivo di sottrarli al degrado. E i controlli da parte delle forze dell’ordine nell’area, che rientra nelle ‘zone rosse’ definite dalla Prefettura, sono quotidiani.

Questore, qual è il bilancio che può tracciare, oggi, in piazza XX Settembre?

«lo credo che la situazione sia migliorata, che questo progetto abbia portato buoni risultati. Gli sforzi della polizia ci sono, a supporto di quanto Comune e Ascom hanno messo in campo. Ma ci rendiamo conto che non si può mai dire ‘siamo arrivati’, perché l’attenzione deve restare costantemente alta. E nell’ultimo periodo, allo scopo, ho anche chiesto di incrementare la presenza nella piazza».

Come?

«Ho previsto di far stazionare più tempo il modulo di Strade sicure, l’operazione che vede il coinvolgimento, assieme a pattuglie di polizia e carabinieri, anche dell’Esercito. La piazza era compresa nel percorso della vigilanza dinamica, ma ho chiesto che gli operatori restino in presidio anche tre ore per turno lì».

Malgrado questo lavoro, le segnalazioni dei cittadini relative a situazioni di degrado non mancano.

«Ci segnalano presenze di spacciatori, a volte anche nelle giostre e questo non è bello. C’è da dire che ogni segnalazione viene verificata e non tutte trovano riscontro. Si deve evitare di cadere nel paradosso per cui ogni extracomunitario che si vede stazionare in piazza XX Settembre sia necessariamente uno spacciatore. Ci sono persone che bivaccano, che a volte bevono, ogni situazione va affrontata e la strada giusta è quella di unire servizi di polizia assieme a una riqualificazione urbana che passi attraverso eventi culturali, ma anche ludici e, lo ripeto ancora, sportivi. Perché sono convinto che lo sport sia una strada da percorrere, perché i ragazzi che praticano una disciplina difficilmente deli nquono».

Ai Giardini Fava il campetto da basket, assieme al chiosco, costituisce il fulcro della proposta di riqualificazione di questo spazio verde.

«Ci ho riflettuto su questo aspetto. È molto bello quello che stanno facendo nel Giardino i ragazzi dell’associazione ‘Fava boys’. Ma quello che ho visto, quando sono andato, sono stati altri ragazzi seduti nelle panchine poco distanti, defilati. Dobbiamo fare un passo in più. Fare in modo che quei ragazzi giochino a basket con gli altri nel campo. Dobbiamo uscire dalla logica del fortino. E questo discorso vale anche per le ‘zone rosse’».

In che senso?

«Partiamo dalla semantica. Questa formula è fuorviante. La zona rossa è un concetto militare, giornalisticamente parlando si è iniziata a usare, in contesti di ordine pubblico, a metà degli anni ’90 per i G7 quando c’erano zone da ‘proteggere’ perché vi si riunivano capi di Stato. Oggi, invece, noi siamo di fronte a zone su cui porre attenzione, perché ce lo chiede la cittadinanza che vi percepisce una carenza di sicurezza. In questo senso vanno i provvedimenti adottati dal ministero e, sul territorio, da prefetto e questore, tesi appunto a porre maggiore attenzione, a fare più controlli, in determinate aree. E devo dire che in questo senso ‘le zone d’attenzione’ funzionano. Lo dicono i numeri: ci sono più controlli, più arresti, più denunce. Danno risultati. E servono anche a far vedere che lo Stato c’è, è presente per rispondere alle giuste istanze dei cittadini. Ma si tratta di misure emergenziali, non possono essere prorogate all’infinito, altrimenti viene meno il loro valore giuridico».

Sul fronte sicurezza, un’altra emergenza in città è rappresentata dai minori stranieri non accompagnati.

«Questo è un tema che mi preoccupa molto, perché non esiste uno strumento di controllo adeguato. II sistema va ripensato nel complesso, intervenendo anche sull’accoglienza. A Bologna i numeri sono altissimi e questo anche perché molti ragazzini arrivano in città dopo essersi allontanati da altri centri ed entrano nel circuito bolognese, già molto provato».

Andrebbero ridistribuite le presenze?

«Dovrebbe esserci la possibilità di farli tornare nei centri da cui si sono allontanati. Gli arrivi sono moltissimi e creano anche difficoltà ai nostri uffici, a cui spesso i minori si rivolgono. Noi, benché esista una possibilità di non accoglierli sopra i 16 anni, per una questione di sicurezza, non li mandiamo mai via, aspettando di affidarli ai servizi».

Nicoletta Tempera, Il Resto del Carlino – 1 agosto 2025

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