Majani, più cremini negli USA. Innovatori da due secoli

Il cioccolato bolognese, il primo nato in Italia nel 1796, guarda Oltreoceano e anche al Giappone. «Ogni sei mesi prodotti nuovi, ora anche ristorazione e hospitality», dice Vittoria Mezzadri Majani, nona generazione, pronta a prendere le redini dell’azienda

A nno 1911. Gabriele D’annunzio ha un’idea che oggi definiremmo marketing. Parola che l’autore de Il piacere non conosceva. Mentre conosceva molto bene un prodotto che gli procurava piacere: il cioccolato. E così, in vista del lancio sul mercato di una nuova Fiat, il modello Tipo 4, il Vate suggerisce agli Agnelli di regalare una scatola di cioccolatini a chi acquisterà l’auto. Ma non cioccolatini qualsiasi: D’Annunzio è cliente dell’azienda bolognese Majani. Si tratta di una famiglia che ha avviato l’impresa nel 1796, la prima in assoluto in Italia a produrre cioccolata, e che l’anno prossimo festeggerà i 230 anni di storia. L’idea del poeta piace e Majani inizia a produrre il cremino a quattro strati, come il numero della macchina, incartandolo in un packaging (ma all’epoca non si diceva così) con la scritta Fiat. Una produzione mai interrotta e che ancora oggi identifica Majani. Rimasta sempre in mano alla stessa famiglia, l’azienda è arrivata alla nona generazione, rappresentata da Vittoria Mezzadri Majani, 25 anni, brand manager e membro del cda. Sarà lei in futuro a prendere in mano l’azienda, di cui oggi è presidente e amministratore delegato il padre Francesco Mezzadri Majani. Una donna, come la prima a entrare nel 1796 nel «Laboratorio di Cose Dolci» in centro a Bologna. Si chiamava Teresa Menaiini Majani. I suoi figli, Francesco e Romualdo, rilevarono la bottega.

Vittoria, come resiste un’impresa per 230 anni?
«Lavorando ogni giorno con lealtà e concentrazione. Io penso che sia fondamentale scegliere le persone giuste in continuo perseguimento della massima qualità e un buon equilibrio economico- finanziario sono sempre stati la nostra stella polare».

All’inizio erano due fratelli . E oggi?
«In media siamo 60 persone. Nei periodi di alta stagione arriviamo anche a 90. Lo stabilimento centrale, che si affaccia sull’A1 poco distante da Bologna, misura 5.500 metri quadri, a cui si aggiunge un altro stabilimento da 2.000 metri quadri. E inizieranno i lavori per un ulteriore ampliamento di 2.600 metri quadri il prossimo mese. All’esterno . l’azienda è fatta a strati, proprio come il cremino. Fu una scelta di mia nonna. E manteniamo il negozio in centro a Bologna, in Via de’ Carbonesi, che è nostro dal 1830. C’è ancora l’insegna di legno dell’epoca».

II settore vive un periodo di crisi?
«Sì, pare che ci sia meno cacao per problemi climatici. Lo prendiamo principalmente dal Centro e Sudamerica, in particolare dal Venezuela ma anche da Africa e Asia. I ricavi sono stati di circa13 milioni, aumentati di oltre il 5%, la percentuale dell’ebitda è scesa di circa 3 punti rispetto al nostro abituale 22% a causa principalmente della lievitazione del costo del cacao, triplicato in un anno. La posizione finanziaria netta è positiva per oltre due milioni e il patrimonio netto è di oltre 14 milioni».

Ci sono stati altri momenti difficili?
«Negli anni ’70 la società attraversò una fase complessa e la famiglia fu costretta a cedere il 75% del capitale. Nel 1985 mio padre diventò ad e negli anni successivi ricomprò il 100% della società». I Majani sono stati anche i primi a proporre la cioccolata solida in Italia. «L’abbiamo creata noi nel 1832 con un prodotto chiamato “Scorza”. Prima si beveva solo. Quando in Italia si parla di cioccolato, si pensa a Torino, ma tutto nasce a Bologna. La Scorza è venuta quasi per caso, si provavano varie soluzioni per ottenere un prodotto solido. E così nacque una texture croccante e friabile, che ancora oggi viene fatta con la stessa ricetta dell’epoca, usando fave di diverse qualità. Il nome “Scorza” era ispirato alla somiglianza con la corteccia degli alberi». Majani non è solo la prima azienda di cioccolato in Italia ma una delle principale imprese in assoluto del Paese. «È stata una delle prime a vapore, una grande innovazione per i tempi. Incredibile pensare che fosse in centro a Bologna. Sono macchine che abbiamo conservato ed esposto come reperti storici, bellissime da vedere. In archivio ho ritrovato il passaporto che Giuseppe Majani ottenne nel 1856 per attraversare l’Italia, ancora divisa in tanti piccoli stati, per acquistare i macchinari all’avanguardia. E all’esterno del palazzo dove
ora c’è il negozio appese l’insegna “Stabilimento a Vapore di Confetture e Cioccolata”. Continuiamo a lavorare la cioccolata come una volta: dalla fava cruda al prodotto finito, facciamo tutto noi».

Tra i vostri clienti non c’è stato solo D’Annunzio. Altri nomi illustri?
«Nel negozio in centro città sono entrati Giosuè Carducci, ma anche Guglielmo Marconi. Tra i fan del cremino Fiat, c’era Giorgio Morandi. Il pittore teneva sempre i cremini da offrire agli ospiti. Quest’anno abbiamo fatto una linea dedicata a lui per i 60 anni dalla morte. Mia nonna, un’istituzione che tutti hanno sempre chiamato “Signorina Anna”, raccontava che l’avvocato Gianni Agnelli le disse: “Avete venduto più marchi Fiat voi sui cioccolatini che noi sulle auto”. Probabilmente è anche vero, ne produciamo circa 5 milioni l’anno, solo nel gusto classico. Sbirciando tra gli archivi ho trovato lettere originali e sbiadite da parie di papi e re che ringraziavano per i doni dolcissimi ricevuti. Siamo tati fornitori ufficiali dei Savoia ma anche dei reali di Francia e Spagna, da qui gli stemmi sul nostro marchio».

II rapporto con Fiat è indissolubile?
«II Fiat è il prodotto che ci identifica e la linea più venduta». Entrata in azienda da poco, è destinata a portarla nel futuro. A che cosa sta pensando di nuovo? «Poter mandare avanti un’eccellenza italiana di famiglia da sempre è una cosa rarissima. Con un prodotto come il nostro, ho tra le mani un gioiello che va preservato. Adesso siamo in più di 40 Paesi e vorremo ampliare questo mercato, potenziare . soprattutto Giappone e Stati Uniti. Ma prima mi piacerebbe sviluppare il settore dell’hospitality e della ristorazione. Poi c’è la parte della comunicazione a cui mi sto dedicando, soprattutto sui social. Un mondo del tutto inesplorato: vorrei raccontare cosa facciamo e come. E bisogna sempre innovare: ogni sei mesi abbiamo prodotti nuovi. Per i 230 anni stiamo pensando a qualcosa di identificativo ma ci vuole tanto tempo. Per fare il tortellino nel 2000 ci sono voluti anni».
E quando alla fine riflettiamo su quanto è difficile faire impresa in Italia e resistere nel tempo, interviene nella conversazione !’ad Francesco Mezzadri Majani: «Nel nostro Paese è molto faticoso, la burocrazia e le leggi da osservare diventano sempre più complicate e costose da rispettare. Fare impresa ·è complicato in tutti i Paesi del mondo ma in Italia sempre di più. E ora anche nell’Ue entreranno in vigore nuove regole. Altre complicazioni».

Corriere Economia, 17 marzo 2025

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