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Quando la pizza diventa impresa. Berberè cresce e macina utili

Fatturato a 25 milioni e 348 dipendenti

L’inaugurazione del quarto locale bolognese, negli spazi che furono del pluristellato chef Barbieri con il suo Fourghetti, è solo l’ultimo capitolo di una storia iniziata nel 2010 e che oggi consegna ai suoi soci un fatturato di 25 milioni di euro. I numeri di Berberè, brand di pizze da lievito madre vivo dei fratelli Salvatore e Matteo Aloe, continuano a crescere. A oggi le pizzerie aperte sono 21, risultano 348 dipendenti, 47 nazionalità rappresentate, si calcolano 1.800.00o pizze sfornate, 15.330 rinfreschi del lievito madre fatti, 400.000 kg di farina (tipo i bio) e 100.000 kg di pomodoro utilizzati. Tutto questo è figlio dell’idea di due fratelli arrivati dalla Calabria sotto le Due Torri per studiare e nata, semplicemente, «da una ricerca di mercato: mancava la pizza buona a Bologna». E con la prima pizzeria, a Castel Maggiore, 14 anni fa si è tracciata la linea che tutt’oggi resiste e che sta contribuendo al successo dell’azienda. «Il nostro unico dogma è la qualità» dicono convinti oggi e lo mettono anche nero su bianco nella carta dei valori di Berberè. Il tema della leggerezza è già nel primo logo («light pizza e food») e da subito viene lanciato il concetto di pizza da condividere.

La storia di Berberè corre veloce. Si parte da Castel Maggiore, si prosegue con l’apertura nel 2013 in via Petroni del secondo Berberè in collaborazione con Alce Nero (che diventerà poi socio nel 2015 e che oggi detiene poco meno del 10% delle quote), si svalica nel 2014 l’Appennino per inaugurare a Firenze a San Frediano e due anni dopo a Torino, a Binaria, da don Ciotti. Il quinto locale è a Milano (quartiere Isola), il sesto è a Roma (a Porta Pia). Dopo altre aperture ancora, arriva il 2020 con Covid e lockdown, ma nello stesso anno Berberè sconfina e arriva a Londra. Proseguono le inaugurazioni e si giunge al 2022, con il terzo locale bolognese, quello di Porta Saragozza. E di un anno dopo l’ingresso (di minoranza, con poco meno del 40%) di un fondo di investimenti milanese nella società.

Dopo il 21esimo locale «la nostra ambizione è crescere come brand, diventare aziende complesse che riescano a mantenere la qualità: ragionare come Armani, Missoni». Secondo i fratelli Aloe, i numeri di Berberè oggi, si spiegano così: «Non ci sono mai stati compromessi». E questo si ricollega al concetto espresso giusto prima. «Le nostre farine sono bio e macinate a pietra, gli ingredienti scelti e di qualità (la mortadella che usiamo, per esempio, è di Zivieri e costa 7 euro al kg), le pizze hanno 24 ore di fermentazione con solo lievito madre vivo». I vini sono naturali, le bibite italiane, le birre artigianali. I dolci li produce Luigi Biasetto. La spesa media da Berberè resta di 15,60 euro.

Nel settembre 2022 hanno dato mandato a una società esterna di fare rilievi con 4 visite al mese di «mystery client», clienti scelti e in incognito chiamati a valutare dal sorriso di chi accoglie ai tempi di attesa, fino alla presenza del sapone nei bagni. Le realtà migliori ottengono per tutta la squadra un premio in denaro. «L’obiettivo è di avere dati per migliorare, e i risultati ci sono già» assicura Salvatore. Ciò su cui i due fratelli raccontano di investire molto è il personale. L’82% degli store manager arriva da promozione interna e «il 96,8% dei dipendenti si dichiara felice di far parte dell’ azienda» dice Matteo.

Per i dipendenti sono previsti corsi di formazione. E anche per questo è nata Berberè Casa Madre in via Murri, con spazi per un centro di formazione permanente e una foresteria con 8 posti letto per agevolarla. «Prossimi progetti? Vogliamo crescere a Londra. Abbiamo due pizzerie, e per il 2024 vorremmo aprire il terzo o il quarto locale». Perché «è molto più semplice aprire 3o Berberè a Londra che uno in Italia» spiega Salvatore, rivelando che comunque «in autunno inaugureremo una nuova pizzeria a Milano, la quinta».

Francesca Blesio, Corriere di Bologna -26 giugno 2024

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