Potrebbe essere la trama di un film di Pupi Avati
Potrebbe essere la trama di un film di Pupi Avati. La Bologna degli anni Settanta, i ragazzi che giocano a pallone in piazza, la vetrina del ristorante spaccata, il fuggifuggi generale per non denunciare la bravata, il ritorno sul “luogo del delitto” anni dopo per emendare la colpa di gioventù. Invece la fiction non c’entra, questa è una storia vera: la storia di Paolo Morosetti, oggi presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, che quel pallone da calcio che sfondò la vetrina della Cesarina in · piazza Santo Stefano ancora lo conserva.
Anche a distanza di cinquant’anni. Era l’estate 1974, lui, studente marchigiano alla facoltà di Ingegneria, fuori sede come tanti, abitava in via Remorsella, a due passi dalla piazza. «Ricordo che c’era un caldo pazzesco, aggravato dal fatto che io, coi miei quattro compagni di appartamento, vivevo in un sottotetto». Finito di studiare, «a mezzanotte era impossibile dormire, allora andavamo sempre a giocare a calcio». La piazza delle Sette Chiese era ancora asfaltata, i lavori di riqualificazione dell’architetto Luigi Caccia Dominioni sarebbero arrivati dopo, agli inizi degli anni Novanta. C’era già, invece, chi cucinava tortellini alla panna, ancora oggi, qualcuno dice, che fossero i migliori della città: era Cesarina Masi che battezzò col suo nome il mitico locale, in cui arrivò nel 194 7 per restarvi fino al 1960. Una sera il patatrac. «Mi arrivò un traversone da sinistra, io sono mancino e ricordo che feci una grande rovesciata a collo pieno, peccato però che la direzione era sbagliata. Presi in pieno la vetrina del ristorante che si ruppe in mille pezzi. Scappammo tutti, con la paura di essere beccati. Non avevo un soldo e da studente squattrinato non potevo certo pagare il vetro della Cesarina».
Morosetti poi si laurea in Ingegneria nel 1978 e lascia la città. Il lavoro a gonfie vele diventa un professionista affermato e le consulenze lo portano di nuovo a Bologna. «Nel 1980 la multinazionale finlandese per la quale lavoro organizza una convention sotto le Due Torri. La società mi invita a una cena che, manco farlo apposta, è dalla Cesarina. Quale occasione migliore per togliermi quel peso sullo stomaco». Complice qualche bicchiere di troppo, «ricordo che mi sono sentito in dovere di esternare il debito che avevo nel cuore alla signora in sala». La gestione del ristorante nel frattempo era cambiata. Pur non conoscendo la storia della vetrina rotta; a ricostruire le date è Pietro Montanari, giovane erede della famiglia che gestisce la Cesarina dal 1976.
«Ci sono stati diversi cambi di gestione. Cesarina Masi se ne va nel 1960,.poi arriva il nuovo proprietario che è Ezio Salsini. La mia famiglia, con mio nonno Pietro, mia nonna e mio padre Massimo, comincia a lavorare qui nel 1976». Ed è proprio alla nonna di Pietro, Graziella Moneta, che resterà in sala fino al 1991, che Morosetti si rivolge quella sera del 1980. «Mi alzai da tavola e le feci la mia confessione, le dissi che avevo un debito morale che avrei voluto saldare quella sera, visto che ora potevo permettermi di spendere quel che volevo». La signora sapeva dell’episodio poiché le era stato raccontato. «Mi · fece una grande sorpresa. Dopo essere sparita in cucina, tornò fuori con il pallone sgonfio e mi disse: “Mi sa che questo è suo”. Non volle soldi, non volle nulla, anzi ci offrì due bottiglie di liquori». Paolo Morosetti, che negli anni è tornato diverse volte a mangiare dalla Cesarina, quel pallone lo possiede ancora come ricordo degli indimenticabili anni bolognesi, «quando ogni giorno ero impegnato a schivare indiani metropolitani, centri sociali, Autonomia operaia e a giocare a pallone sull’asfalto di piazza Santo Stefano».
Sabrina Camonchia, la Repubblica -8 febbraio 2024
Menù della tradizione, balli e canti per 300 persone