l podcast sul compleanno del ristorante della famiglia Fanciullacci, in via Righi. La titolare Katia: «Il segreto di questo lavoro? L’amore per i clienti e il cibo»
È una giornata di normale e vivace fermento al ristorante Donatello. Ci sono le voci dei clienti, il tintinnio dei bicchieri, le posate riposte con cura. È terminata la fascia del pranzo e professionisti, giovani e turisti lasciano il locale di via Righi, che in questi giorni festeggia i 120 di storia, come raccontiamo nella puntata di oggi del nostro podcast il Resto di Bologna. E fra questi tavoli c’è la signora Katia, anima del ristorante, per lei l’avventura di una vita, iniziata con il marito Ferruccio Fanciullacci e oggi portata avanti anche dai figli Riccardo e Davide. La quarta generazione. Sulle pareti, una galleria fotografica, un pantheon di artisti, dal teatro alla musica, allo sport. Appese ci sono le misure della tagliatella, ma anche le immagini del suocero Bruno in tenuta da pugile e bersagliere. «Il segreto? – riflette la titolare –. L’amore per il cliente. Se non c’è, non puoi farlo».
Tutto era iniziato dall’altra parte dell’Appennino, nella provincia di Prato, di cui era originario Donatello Fanciullacci, che nel 1903 tentò la fortuna a Bologna, con il locale di via Repubblicana. Fra i fornelli alimentati a carbone c’era la moglie Elvira, che presto cambiò le ricette toscane in quelle della tradizione bolognese. «La cucina italiana e bolognese la rispettiamo – insiste Katia – è la più amata al mondo. I nostri piatti più amati? C’è grande richiesta di tagliatelle, cotoletta, tortellini nel brodo buono: è quello il segreto del tortellino». La famiglia allora era composta anche dai figli, Bruno, Otello e Ferruccio. Ed è proprio Bruno l’avventuroso e giramondo di casa: rientrato in città dopo la Grande Guerra, ritrova un Donatello frequentato da Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, con il debole per le lasagne con la crosticina, Giacomo Puccini. In quegli anni di fermento, Bruno avvia anche un Donatello nella Capitale, che intreccerà la sua vita con quella dei miti del cinema. Durante il secondo conflitto, la famiglia si sposta fra Pianoro e Bologna e gli aneddoti non si contano più: dai partigiani nascosti nella cella frigorifera, allo chef Raffaele Mezzetti che era stato scelto, suo malgrado, da camerati tedeschi per onorare un pranzo importante. Il racconto potrebbe continuare, anche sfogliando il volume che Ferruccio scrisse con Michele Pompei per il centenario del Donatello. Alla morte di Bruno fu proprio Ferruccio, giovanissimo, a subentrare nella gestione, fino al 2020, quando il Covid ha lasciato tutti un po’ orfani. «Dirigeva il carello dei bolliti come un direttore d’orchestra – ricorda Katia –. Quello è stato il periodo più duro. Neanche durante le guerre il Donatello aveva chiuso: si andava nel rifugio, ma poi si tornava ai tavoli». Quella che non è cambiata è la frequentazione di artisti: da Pavarotti a Bocelli, da Penelope Cruz a Lucio Dalla, da Umberto Eco a Federico Fellini, da Gianni Morandi a Gaetano Curreri e Il Volo, fino a Valerio Staffelli e il suo affettuoso tapiro «per il cibo e l’amicizia». In tanti prenderanno parte alla festa di questa sera nel ristorante, cui Katia fa una dedica speciale: «Auguri Donatello, li porti bene i tuoi 120 anni, la famiglia Fanciullacci è sempre con te».
Letizia Gamberini, Il Resto del Carlino – 14 dicembre 2023
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