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Le fioraie che resistono “Meno mazzi e più piante” – La dolce resistenza delle fioraie “Più piante e oggetti d’arredo”

In dieci anni il loro numero in città non è cambiato, ma le richieste, oggi, sono diverse Si comprano meno mazzi fastosi, anche se c’è chi dopo la pandemia li ha riscoperti

Prima si vendevano mazzi di mimose per l’8 marzo, dozzine di rose per San Valentino, ora basta un fiore, basta il pensiero. A veder cambiare il mondo attraverso le composizioni che realizzano sono stati proprio loro: i fiorai. Generazioni di venditori e coltivatori che hanno potuto spiare nelle scelte dei loro prodotti quello che succedeva fuori, in un cambiamento che ha investito tutto, dalle finanze ai sentimenti.

In molti dei loro negozi al dettaglio – 82 a Bologna, lo stesso numero di dieci anni fa -, sono sparite le catleye, e si vendono assai meno i ranuncoli, i gladioli, le sterlizie. E se una volta l’orchidea era la regina dei regali, ora si preferisce la sua pianta. E questo vale per tutte le specie, perché si predilige qualcosa che duri più a lungo, che non appassisca e magari possa essere coltivato. I negozi si adattano e intanto vendono anche vasi o scatole, per le composizioni.

Perché è cambiato insieme al fiore anche chi lo compra. Nel passato, come ricorda Milena che è in piazza Malpighi con la sua “La Fiorita” dal ’69, «il fiore era una cosa di nicchia, più aristocratica. Poi con le contestazioni studentesche e sindacali – che ha visto passare anche davanti il suo negozio – tutti volevano due margheritine da mettere in casa. Le famiglie del Pratello venivano qui ogni giorno a comprare». Così è cresciuto il mercato.

Chiara del “Quadrilatero fiorito”, in via Drapperie da più di trent’anni, ricorda proprio come «grazie a quest’apertura e alla diversificazione dei clienti il lavoro si poteva pianificare». Poi, però, si è tornati indietro. E l’aumento del costo del gas che alimenta le serre ha fatto innalzare, specie nell’ultimo anno, il costo dei fiori, rendendoli un bene più costoso. Romanò, un negozio tipico di fiori del centro che aveva ben 107 anni di vita, ha assistito a gran parte dei momenti importanti che hanno attraversato questa città: basti pensare che a loro furono affidati gli addobbi floreali per l’inaugurazione dello stadio del littoriale di Bologna nel 1927. I131 dicembre scorso ha chiuso per una meritata pensione ma i titolari non hanno trovato un successore. E lo stesso problema, anche se per un futuro più lontano, c’è a “Non Solo Fiori”, da 35 anni in via Irnerio e a Floriana del negozio “Floriana”, da decine e decine di anni all’angolo tra via Riva di Reno e via Lame. Se i fiori diventano di nicchia, lo diventa anche questo mestiere. La crescita del numero di attività sul territorio è ferma al biennio 2016/2017, in cui si era registrato un +3,4%.

Marina della “Boutique del bouquet” nel quartiere Mazzini, ha qualche idea per far risbocciare la professione: «In Olanda e in Francia, quando le persone escono a comprare frutta e verdura prendono automaticamente anche i fiori. Questo cambiamento culturale darebbe vigore al mercato». Un segnale l’ha notato durante e dopo la pandemia, quando si è compreso di più il valore dei fiori e il senso di benessere che possono dare: «Da quel periodo in poi vengono più famiglie, ma anche studenti e specializzandi del Sant’Orsola che vogliono un tocco di colore in casa. Porta allegria». Uno squarcio alternativo lo mostra l’attività, con sei anni di vita, nata da Valentina che ha aperto in via Marsala “Fuori dal mazzo”. Ma con una formula un po’ diversa: insieme a fiori e piante, in negozio ci sono complementi d’arredo, pezzi di ceramica perché spiega «pensare di poter essere un negozio solo tradizionale è difficile, per questo per sopravvivere bisogna reinventarsi». Di sicuro, nonostante le incertezze del mercato e il cambiamento dei gusti dei clienti, i fiori restano uno specchio in cui si riflette un pezzo di mondo. Come dice Milena de “La Fiorita” «almeno la gente esce da qui senza vergognarsi. Gli uomini, soprattutto. Magari comprano anche solo una rosa, ma si sentono liberi di farla vedere, di mostrare i loro sentimenti. E questo è un segno di emancipazione». La pensa così anche Stefano di Central fiori, all’inizio di via Ugo Bassi. Le cose, anche attraverso i fiori, stanno cambiando.

Alessandra Armi, La Repubblica – 17 marzo 2023

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