Fallita la trattativa affidata a Urso. Unica concessione è la riduzione della serrata da 60 a 48 ore L’ira delle associazioni di categoria: «Vogliono metterci sotto controllo con dei cartelli»
Sciopero confermato. Almeno per ora. Perché il tavolo tra benzinai e governo sulla riorganizzazione del settore resta permanente e fino all’ultimo istante potrebbero esserci novità. Le ultime sono ancora negative. Dalle 19 di martedì 24 alle 19 di giovedì 26 gennaio almeno il 60-70% delle 22mila stazioni italiane – iscritte alle associazioni di categoria più rappresentative – saranno chiuse su strade e autostrade, inclusi i self service. Rimarrà in servizio un limitato numero di esercizi incaricati di garantire i servizi minimi essenziali stradali e autostradali su base provinciale. Un punto interrogativo permane sulla possibile apertura dei self service gestiti direttamente dalle compagnie petrolifere. Ma per quante stazioni restino aperte, saranno sempre troppo poche per coprire l’erogato giornaliero della rete distributiva italiana, pari a 77,5 milioni di litri secondo una stima di Staffetta quotidiana, testata web specializzata sulle fonti di energia. Salvo colpi di scena si annunciano giorni difficili, con lunghe code per i rifornimenti nelle 48 ore precedenti, ripercussioni e disagi su traffico e viabilità, possibili ritardi di trasporti e consegne.
Le speranze di evitare lo stop sfumano dopo l’incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. L’unica concessione dei benzinai è la riduzione della serrata da 60 a 48 ore. Per tutto il resto basta riavvolgere il nastro. In un settore già attraversato da forti tensioni, il muro contro muro si alza con la dinamica di rialzo dei prezzi subito dopo Capodanno. L’impennata dei costi di rifornimento che segue la fine dello sconto sulle accise introdotto nel 2022 dal governo Draghi (dopo l’avvio del conflitto russo-ucraino) scatena la rabbia dei cittadini. Quando il prezzo della benzina alla pompa si impenna attorno ai 2 euro in città e fino ai 2,5 euro in autostrada, scattano le accuse di speculazione ai gestori. Il governo decide di intervenire con l’obbligo a tutte le stazioni di esporre un cartello con il prezzo medio giornaliero dei carburanti e multe fino a 6mila euro e la chiusura fino a tre mesi per chi non si allinea all’operazione trasparenza. I benzinai, furiosi, minacciano lo sciopero. Pur di mediare, il Mimit guidato da Adolfo Urso gioca cinque carte: la posposizione del decreto sull’esposizione dei prezzi; l’affissione del cartello con il prezzo medio dei carburanti su base settimanale anziché giornaliera; la chiusura dell’attività da 1 a 30 giorni (anziché da 7 a 90) solo dopo quattro trasgressioni in tre mesi; la riduzione delle sanzioni a 800 euro; un’App gratuita del Mimit con geolocalizzazione per comunicare agli utenti il prezzo medio regionale e il prezzo praticato da tutti i distributori nel perimetro desiderato. Ma ieri i sindacati rispondono picche.
L’effetto gogna proprio non va giù. «Dal governo non sono arrivati elementi migliorativi, semmai sono peggiorate le condizioni, la nostra resta una categoria da mettere sotto osservazione con un cartello, come nel Medioevo», è la sintesi associativa. «C’è molto disappunto», dichiara Roberto Sperduto, presidente di Faib, secondo il quale è inaccettabile il messaggio alla clientela «che siamo una categoria da tenere sotto controllo». «L’unica sotto stretta sorveglianza», denuncia Roberto Di Vincenzo, presidente di Fegica. «Noi autostradali ci sentiamo ancora di più penalizzati. Chi arriva in un’area di servizio autostradale trova già quattro cartelli e ora ne aggiungiamo un altro che poi bisogna capire come verrà composto», lamenta Massimo Terzi, presidente di Anisa, che invita gli utenti a guardare i fatti: i prezzi in autostrada «sono più alti per l’ulteriore balzello determinato dalle royalties che i subconcessionari devono pagare ai concessionari». «Fino all’ultimo minuto siamo pronti a trovare una quadra se c’è ancora spazio di manovra ma non possiamo revocare lo sciopero», incalza Bruno Bearzi, presidente di Figisc. E Sperduto (Faib) invoca l’intervento di Giorgia Meloni, particolarmente esposta sul tema più divisivo della settimana.
«Primo sciopero dell’era Meloni», scandisce il dem Enrico Borghi. «Il frutto degli errori del governo», aggiunge Mariastella Gelmini (Azione). «Una brutta figura», evidenzia Peppe De Cristofaro (Avs). Solo «fango e melma»: sono sparate «pretestuose», reagisce Lino Ricchiuti (FdI). Ma anche i consumatori criticano l’esecutivo. «Il cartello del prezzo medio potrebbe diventare un punto di riferimento per accordi collusivi. Molto più utile un’app che dia i tre distributori con i prezzi più bassi in un raggio di chilometri predefinito dal consumatore», incalza Massimo Dona (Unc).
Giovanni Rossi, Il Resto del Carlino – 20 gennaio 2023