I dati della Camera di Commercio: chi ha un’attività e meno di 50 anni è appena il 42% Tra i titolari è in maggioranza la fascia dai 50 ai 69 anni (48% del totale). Il nodo successione
L’imprenditore non è un lavoro per giovani. Solo 5 titolari di attività su 100, a Bologna, hanno meno di 29 anni. Se è vero che l’età media dei nostri imprenditori è di poco superiore alla media nazionale (52,2 anni contro 51,4 del totale del Paese) e leggermente inferiore a quella regionale (52,6%), il dato fa sobbalzare e la dice lunga anche sulle difficoltà di ricambio delle aziende. La metà circa (il 48%) dei titolari d’impresa bolognesi – il dato è della Camera di commercio – ha da 50 a 69 anni, il 37% da 30 a 49 anni, il 10% da 70 anni in poi. Dunque gli ultrasettantenni ‘doppiano’ percentualmente i millennials.
Se si vanno a spulciare le categorie, in agricoltura si ha un notevole invecchiamento dei titolari: ben il 39% ha da 70 anni in poi ed il 14% è addirittura nella fascia da 80 a 89 anni. L’età media, dunque, supera i 63 anni, quasi ‘a tiro’ di pensione per anzianità, si potrebbe dire.
Se gli altri macro settori – industria e terziario – si mantengono in media (49% dei titolari tra 50 a 69 anni), nel commercio e servizi è però più alta la quota dei più giovani (5% contro il 4% dell’industria). I titolari maschi hanno un’età media più alta delle donne (52,3 contro 51,7).
Come longevità, hanno vita media più alta le imprese nei settori delle attività immobiliari (21,7) e dei trasporti (19,7), mentre durano meno le aziende operanti nell’energia (10) e nell’informazione e comunicazione (10). All’interno della ristorazione, poi, food truck e ambulanti durano di più (14 anni, in media), mentre i bar si attestano attorno agli 11,4 anni, più alta rispetto ai ristoranti (10,2) e alla ristorazione da asporto (7,5 anni). Tra le forme giuridiche, le più longeve sono le cooperative (21,8) e le società di persone (21,3).
«Un 5 per cento di impavidi – commenta Valerio Veronesi, numero uno della Camera di Commercio di Bologna –. Questo sembrano quella piccolissima quota, quasi una riserva, di imprenditori che hanno meno di 30 anni. Io credo fortemente che dobbiamo fare questo: togliere ai ragazzi la paura, incoraggiarli. Fargli sapere che l’errore fa parte del fare. Dobbiamo trasmettere loro una nuova cultura e una nuova valenza dell’errore. Errore è qualcuno che ci ha provato. E così ha imparato qualcosa che gli servirà prima o poi nel momento giusto». Una iniezione di fiducia e autostima non può bastare, per cui la Camera di Commercio ha messo in campo, intanto, una corsia preferenziale per gli under 35 nell’accesso ai contributi. Non solo, la proposta di Veronesi va oltre: «Sono convinto che serva un vero e proprio patto generazionale, fra esperienza e nativi digitali, per permettere il passaggio di consegne nelle imprese. Sarebbe utile prevedere una quota giovani nei Consigli di Amministrazione, come succede nelle quote di genere. Dobbiamo iniziare a dare un messaggio ai giovani: abbiamo fiducia in voi, il futuro è vostro, noi siamo qui per farvi volare. Non abbiate paura. Proviamoci insieme».
Dello stesso avviso è Giancarlo Tonelli, direttore generale di Ascom-Confcommercio di Bologna, che pone l’accento sugli ostacoli che i giovani imprenditori sono costretti ad affrontare. «La situazione è resa più difficile da oltre due anni di pandemia e ora dalla crisi economica. Ma è indubbio che i giovani che pensano di aprire un’attività in Italia, per mille ragioni trovano ostacoli e difficoltà: dall’eccesso di burocrazia ai costi per avviare un’impresa, inaffrontabili poi se un giovane vuole acquisire un’attività avviata». Il passaggio di testimone, infatti, resta uno dei problemi più grossi per molti negozi, anche con una lunga storia alle spalle.
«Da tempo chiediamo forti semplificazioni della burocrazia e un calo della pressione fiscale e del costo del lavoro. Le nuove generazioni di imprenditori attendono segnali molto forti per potere credere in una ripresa vera – continua Tonelli –. Paghiamo anche il prezzo di una scuola che da tempo orienta i giovani non verso una mentalità imprenditoriale, ma piuttosto verso professioni spesso senza sbocco pratico. In questo modo, però, la distanza fra il mondo della scuola e dell’università e ciò che avviene nel mondo del lavoro si allarga sempre più. I nostri giovani, purtroppo, non sono educati a una cultura di impresa».
Andrea Bonzi, Il Resto del Carlino – 28 novembre 2022