II tempio del vino in via Marsala è uno dei luoghi “giusti” per conoscere l’anima più autentica e segreta di Bologna
La parte più difficile del lavoro non è stare dietro al bancone, preoccuparsi della cantina o fare l’ordine
Sabrina Camonchia, La Repubblica – 2 ottobre 2022
per la mortadella e il salame. No, per tutto quello hanno preso il ritmo. Le complicazioni si annunciano ogni giorno, sul fare della sera, quando Marco Nannetti abbassa la saracinesca dell’Enoteca Italiana e
puntualmente qualcuno lamenta: “Ma come. chiudete già?”. Parole sempre uguali. come quelle di una
messa laica che sancisce un rito compiuto, quello dell’ora dell’aperitivo .Molti clienti non sanno che noi
siamo qui dalle nove della mattina».
Locale di tendenza, se per tendenza si intende tutto quello che surclassa le mode, tempio del buon
bere, ritrovo per bolognesi di ogni generazione, l’Enoteca Italiana compie cinquant’anni. È il 1972 quando il locale spalanca le sue porte. Allora si entrava solo da via Marsala. “Non c’era la facciata su via Indipendenza”, spiega Nannetti, un diploma in agraria al Serpieri e una passione per il vino che fra le mura del locale ha trovato la sua strada professionale. Lui ci arriva nel 1983, assieme all’allora altro titolare Franco Casini da Casalecchio: “L’attività era stata avviata da Federica Vaccari e Lucio Rossini: una signora benestante e un rappresentante di liquori che con grande intuizione diedero al locale un nome che nessuno ancora usava perché il vino, allora, lo si vendeva nelle drogherie e nelle fiaschetterie». La cultura enologica era agli albori. «Nessuno avrebbe mai creduto che si sarebbe potuto bere anche al pomeriggio, invece quella è stata la nostra scommessa vinta».
Tutto, da quegli anni, si è moltiplicato. «Ci siamo dovuti inventare ogni cosa. All’inizio entravano solo tre persone al giorno, gli affari si fa cevano col Natale», prosegue Nannetti. Adesso gli avventori non se ne
vogliono andare. Anche il locale si è ampliato, oltre l’arco che spalanca su un labirinto di scaffali dove sono esposte migliaia di bottiglie, almeno 2.500 etichette da ogni dove: non per caso, nel 2002, vincono l’Oscar come Miglior Enoteca d’Italia. Champagne. Lambruschi. Pignoletti. Pinot, grappe, spiriti e liquori:
quello che si cerca qui c’è. Pure il bellissimo bancone di legno ha se guito le trasformazioni del tempo: adesso misura una quindicina di metri, una cortina di ferro che seziona longitudinalmente lo spazio e
che espone in vetrina affettati di ogni sorta, formaggi, sottaceti, salse, pane, tranci di salmone, baccalà
mantecato, lasagne.
Nel 2008 c’è un avvicendamento tra soci, arriva Claudio Cavallari ma la formula non cambia anche se gli
orari si dilatano. Luogo del cuore, posto ristoro, rifugio per chiacchiere di ogni tipo, preferibilmente quelle serali quando si è lasciata alle spalle una giornata di lavoro e un buon bicchiere di vino è ciò che serve. Occorre farsi spazio. Enoteca ltaliana è sempre piena. Appollaiati sugli sgabelli arancioni, tratto distintivo del locale, sono i turisti di passaggio, ma soprattutto i bolognesi che non rinunciano al rito: avvocati, commercialisti, giornalisti, politici, qualcuno direbbe la “Bolobene”, pronti a commentare quel che capita nei palazzi del potere. «Abbiamo la clientela più bella di tutta la città», scherza Nannetti, compresi gli appassionati di musica classica che qui fanno un veloce spuntino con pane e mortadella prima di rifugiarsi ai concerti del vicino Manzoni.
Il Covid li ha messi a dura prova. Ii bar era chiuso, la bottega si è salvata grazie alla vecchia licenza di mescita, potenza di una fiaba commerciale iniziata cinquanta anni fa. “Abbiamo lavorato come un negozio di vicinato e ce l’abbiamo fatta, ora sono le bollette triplicate il vero problema”. Ma è il momento dei festeggiamenti, le bottiglie da stappare non possono attendere.