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Trasloco forzato per il Pappagallo La nuova proprietà ha altri piani

Il ristorante deve lasciare Torre Alberici. Guidone: andrà mantenuta la destinazione d’uso

Il Pappagallo vola via. Non si sa ancora dove, ma da piazza della Mercanzia se ne andrà con i suoi piatti, con i suoi «tortellini d’oro», onorificenza conseguita durante i festeggiamenti del centenario. E la sua storia, condita con quella della città. Dal primo ottobre non si apparecchia più al Pappagallo, restano ancora 10 giorni per gustare il suo menù.

Trasferimento choc quello del ristorante nato nel 1919 che nell’ultimo secolo, fra molti alti e qualche basso, ha dato lustro alla cucina bolognese. 23 stelle Michelin, il primo e più di ogni altro: dal ’59 al ’78 e dall’85 all’87. Tutto a pochi passi dal simbolo cittadino, le Due Torri, nello storico Palazzo Alberici con torre medievale del 1273, fra le più antiche.Qualcosa di più di un ristorante, un landmark. Che ora sparisce, puf! Proprio com’è successo al Diana nel 2018, altro punto di riferimento, soppiantato da un negozio di intimo e spostato lì dietro in via Volturno. Perché e per come il Pappagallo lascerà quelle sale tappezzate di iconiche foto degli ospiti, da Albert Einstein a Alfred Hitchcock, lo spiegheranno venerdì 30 settembre gli attuali proprietari, Michele Pettinicchio ed Elisabetta Valenti, entrati con passione nel 2017, riqualificando e rilanciando il progetto gastronomico e affidandosi a importanti chef.

L’obbligato trasloco è avvolto dal mistero, ma la comparsa di una gigantesca gru lì davanti per la ristrutturazione dell’Alberici qualcosa dice: la nuova proprietà (dei muri) subentrata nel 2019, ovvero Alberto Vacchi, ad di Ima, insieme a un altro imprenditore, ha altri progetti anche per quello spazio a pianterreno: non più il Ristorante Pappagallo con la sua storica insegna metallica, peraltro rubata un paio di volte. Pettinicchio a voce si limita a un «siamo molto amareggiati, racconteremo tutto il 30», ma in una nota scritta aggiunge, «ci saremmo aspettati dalle istituzioni un atto deciso di solidarietà e una presa di posizione nei confronti delle future speculazioni che, a fronte di sicuro profitto, hanno consentito, nell’indifferenza più totale, un vero e proprio sopruso ai danni di una vera istituzione gastronomica come il Pappagallo». Il tema aperto è quello dei vincoli a tutela delle attività storiche, botteghe e ristoranti, come avviene nelle città d’arte.Più della storia contano i soldi. Cosa avallata dalla legislazione. Pettinicchio però sottolinea, «non siamo insolventi, non andiamo via per morosità questo sia chiaro». È stato così trovato un accordo con Vacchi con un’importante buonuscita e la dead line di San Remigio. Al momento si conosce solo il verdetto, «via, fine», non le motivazioni di questo nuovo clamoroso strappo alla tradizione. Più fisico che gastronomico.

Il sindaco Lepore avrà di che riflettere: 5 anni fa il collega di giunta Aitini, al Commercio, promise di evitare «un altro Diana» e riuscì ad applicare il Decreto Unesco. «Con quello la proprietà dovrà mantenere la destinazione d’uso», dice l’attuale assessore Luisa Guidone, «il tema delle botteghe storiche è stato “superato” dal Covid, ma sono pronta a ragionarci nonostante alcune oggettive complicazioni (fondamentale la richiesta della proprietà ndr). Certo, ci dispiace moltissimo questo trasloco».

Il Pappagallo era lì dal 1937. Ad aprirlo nel 1919 in Pescherie Vecchie 10 fu Giovanni Zurla e le sue mitiche tagliatelle con estrose varianti. Successo immediato proseguito nel dopoguerra, con il cuoco Bruno Tasselli, e la prima stella Michelin del ’59. La passerella di personaggi e vip è impressionante, ben visibile nelle foto che coprono le pareti. Idem i piatti diventati famosi. E pure i passaggi di proprietà e gli chef. Nel’81 gli Zurla mollano a Franco Bolini di Nello, ma l’avventura dura poco e tre anni dopo sono Morini e Marcattilii del San Domenico di Imola che provano a rilanciarlo.

Niente da fare, troppo impegnativo e così arriva il duo comico Gigi Sammarchi e Andrea Roncato: in sala Dante Casari ai fornelli chef come Vottero, Baldini, Garofalo, ai tavoli tanti personaggi dello spettacolo. Poi nel ’93 subentra Ezio Salsini (ex Cesarina, Jagus, Tre Frecce ndr) che, fra tentativi più o meno riusciti di rinnovamento, lo porterà nel terzo millennio fino all’ingresso, nel ’17, di Pettinicchio e Valenti pieni d’entusiasmo. Ma poi, un Pappagallo in carne, ossa e piume c’è mai stato? Sì, in Pescherie all’ingresso, dove fra un garrito e l’altro, pare ripetesse parolacce in dialetto. Una verità ripiena di leggenda. Chissà cosa direbbe oggi.

di Fernando Pellerano, Corriere di Bologna, 22 settembre 2022

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