Tonelli: «A luglio via ai corsi di formazione per inserire le figure selezionate in azienda»
Lavoratori cercansi. Il problema della mancanza di manodopera tiene banco in città, ma c’è chi si è attivato per risolvere (almeno in parte) il problema. L’Ascom in collaborazione con l’agenzia Randstad, Comune, città metropolitana, Emil Banca e il progetto ‘Insieme per il lavoro’ coordinato anche dalla Curia, ha lanciato un mese fa ‘Sos lavoro’, creando un servizio in grado di mettere in contatto il mondo del terziario bolognese – commercio, turismo, servizi alla persona e alla famiglia – con chi cerca un’occupazione. «Parliamo di mille posti di lavoro, per i quali già 901 persone si sono candidate compilando il questionario online sul nostro sito», spiega Giancarlo Tonelli, direttore di Ascom.
L’idea nasce dopo la pandemia, quando nel mondo del commercio ci si è resi conto che in città mancavano un migliaio di addetti: negli hotel, nei bar, nei bistrot, nei ristoranti. Ma anche nei concessionari auto e nelle case di cura. Una tendenza, quella della mancanza di manodopera, confermata da una ricerca della Camera di commercio che ha stimato in quasi 12mila le figure difficili da reperire in tutti i settori nel nostro territorio.
Da qui, l’iniziativa di Ascom con Randstad per semplificare il reperimento di figure ad hoc.
«Stiamo vagliando i 901 curricula arrivati. Entro luglio faremo partire i primi corsi di formazione finalizzati all’ingresso del personale selezionato nelle aziende e faremo anche un evento con Randstad per collegare imprese e persone», spiega Tonelli. Resta un interrogativo: perché i giovani non sempre rispondono alla chiamata delle aziende? Per il sociologo Paolo Feltrin una soluzione, visto che i giovani sono pochi, è fidelizzarli, come stanno facendo alcune aziende che puntano di più su welfare e benefit. Il collega Domenico De Masi, invece, insiste sulla necessità «di una riduzione dell’orario di lavoro», sottolineando come in Germania e Francia si lavora molte ore in meno rispetto al Belpaese.
Tonelli, però, è di altro avviso: «Il punto non è ridurre gli orari, il vero problema è il costo complessivo del lavoro che penalizza sia il dipendente sia l’imprenditore. Se un addetto prende uno stipendio netto di 1.200 euro, mediamente all’azienda costa 2mila euro lordi. Senza contare che il mondo è cambiato, c’è la liberalizzazione degli orari che ci porta a comprare un litro di latte fino alle 11 di sera. Risultato: c’è anche un aggravio di costi per le aziende. Per questo serve una riforma del costo del lavoro», incalza il direttore Ascom. Tra gli altri fattori che condizionano la mancanza di giovani in certi settori, ci sono anche «il reddito di cittadinanza e l’eccessiva protezione delle famiglie che aiutano economicamente i ragazzi molto più che 30 anni fa. Questo incide sulla preferenza per orari dal lunedì al venerdì, evitando i weekend. Una tendenza che col Covid si è accentuata», conclude Tonelli.
Rosalba Carbutti, Il Resto del Carlino, 26 aprile 2022
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