Ad aprile si prospetta un altro mese solo con asporto e consegna a domicilio: «I ristori sono ridicoli e non bastano neanche per le bollette»
Da qualsiasi lato la si guardi, è un’ecatombe. Sconforto, rabbia, amarezza, frustrazione e la sensazione di essere «gli unici capri espiatori di questa pandemia». Un’etichetta che i ristoratori bolognesi, provati da un anno di chiusure forzate e aperture a singhiozzo e a orari ridotti, non accettano più. La categoria, massacrata da scelte politiche anti-Covid che i diretti interessati non esitano a indicare come «miopi e vessatorie», ora si appresta ad affrontare un altro mese di nulla: la linea del governo Draghi, per tutto il mese di aprile, non contempla la possibilità di zone ‘gialle’. Città e regioni, Bologna ed Emilia-Romagna comprese, potranno varare al massimo dal rosso all’arancio. Colori che non prevedono l’apertura dei locali ‘in presenza’, ma solo la possibilità di effettuare l’asporto.
«Ci vogliono annientare». Non resta zitto Vincenzo Vottero, presidente dei ristoratori di Ascom, di fronte all’ennesima decisione «tesa a distruggere questa categoria – dice –. Il premier Draghi ha detto che le scuole possono riaprire perché, dati alla mano, non ci sono evidenze che l’avanzata dei contagi sia dovuta alle lezioni in presenza. Seguendo lo stesso ragionamento chiedo quali evidenze ci siano sul fatto che, stando aperti i ristoranti, aumentino i contagi. Le portino, ci mostrino le prove che il Covid circola solo al bar… Diciamo la verità: tengono chiusi noi, ci massacrano, perché pensano che così la gente resti in casa. Ma l’equazione ‘ristoranti chiusi, gente in casa’ non regge».
E per Vottero i ristori tanto attesi per dare un minimo di respiro alla categoria «sono ridicoli. Nel 2019 ho fatturato oltre 600mila euro, nel 2020 circa 220mila: mi arriveranno sì e no 10mila euro di ristori. Non ci pago nemmeno le bollette». E qui, il ristoratore fa una richiesta: «Vogliono venirci incontro? Non dico di congelare il pagamento delle utenze, ma imporre al gestore di far pagare solo la materia prima, non gli oneri che sono l’80% della spesa».
La notizia di un altro mese di chiusura, per Massimo Zucchini di Confesercenti, «è l’ennesima doccia fredda. Ci si adeguerà ancora… Ma siamo al limite. Soprattutto perché viviamo in una continua incertezza. Non sappiamo quando ripartiremo. Non sappiamo neppure come ripartiremo. Ad aprile saremo chiusi. E poi c’è la novità del giallo rinforzato, che ci toglie anche il respiro dato da quelle due ore ore risicate di aperitivo. Tutto questo mentre gli altri settori sono tutti aperti e possono lavorare: noi soli siamo gli appestati. E appesi a ristori poverissimi, che non arrivano mai. Ci avevano detto che avrebbero restituito il 60% del fatturato perso. No, è il 60% diviso per 12 mesi. Una miseria, che non basta neanche a pagare le spese».
Cosa fare, quindi? «Più che proteste di piazza, che a quanto pare non servono a granché, dobbiamo muoverci sui tavoli istituzionali, facendo sentire la nostra voce. Per riuscire almeno a lavorare quest’estate in serenità. C’è amarezza, perché a fronte di tanti sforzi fatti, anche come associazione, non ci è riconosciuto niente». Preoccupatissimo e rassegnato anche Giovanni Favia, ex M5S, anima di ‘Esercenti resistenti’ e titolare di alcuni ristoranti in centro, tra cui il Va mo là di via delle Moline: «Abbiamo manifestato, rispettato la legge, atteso un anno… E adesso sono finiti soldi e speranze. Non ci restano che le lacrime e i gesti estremi. Ci hanno abbandonato, discriminato… Ma dove sono i dati concreti che dimostrano le nostre colpe, come ristoratori, nell’avanzata della pandemia? Non ci sono… Ora ci chiudono un altro mese, pensano così di salvare il Paese? Il Paese va a fondo e noi non abbiamo più interlocutori con cui confrontarci».
Nicoletta Tempera, Il Resto del Carlino – 28 marzo 2021
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