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Sfogline: interventi di Vincenzo Vottero e Lucia Antonelli

Madri e nonne, patrimonio dell’umanità, Vincenzo Vottero, Presidente ristoratori Confcommercio Ascom Bologna, Lucia Antonelli, Trattoria del Cacciatore – “La sfoglia non è solo tecnica: ognuna di noi ha il suo stile”

Vincenzo Vottero, Piazza Maggiore, voci dalla città. In un’epoca nella quale il tempo scorre freneticamente e non ci lascia il tempo di pensare alle cose buone della nostra storia e cultura gastronomica, tra le più riconosciute e apprezzate al mondo, quella della sfoglina è una professione che riconduce ad una tradizione immancabile nelle nostre famiglie e nelle nostre case.

La prima sfoglina esperta che ho conosciuto in vita mia era ovviamente mia mamma Mariarosa, la quale mi insegnò a chiudere i tortellini quando ancora non arrivavo al tagliere, mostrandomi che attraverso la sfoglia dei tortellini posta davanti alla finestra si doveva intravvedere la sagoma di San Luca e rivelandomi fin da bambino quanto la pasta fosse tanto buona anche cruda. Nei luoghi dove si fa ristorazione, ma solo dove si fa della qualità un dogma imprescindibile, il culto della sfoglia è indispensabile, indipendentemente dal fatto che si propongano piatti della nostra tradizione o piatti di cucina creativa, la pasta fresca è entrata a buon diritto nelle preparazioni di alto livello della cucina internazionale.

Rari sono i grandi nomi della ristorazione mondiale che non propongano nei loro menù almeno un piatto fatto con la sfoglia fresca, che in questo caso viene nobilitata esclusivamente dal lavoro che la sfoglina riesce a fare, donando caratteristiche alla sfoglia certo non riscontrabili su prodotti industriali o ’tirati’ a macchina. Ruvidezza e ’presa’ del sugo sono caratteristiche che solo una sfoglina esperta, con tagliere e mattarello, può donare alla pasta e tutto sommato chi non vorrebbe la propria mamma o nonna patrimonio Unesco. Vincenzo Vottero

L’iniziativa gustosa, Lucia Antonelli – Taverna del Cacciatore. Al ristorante iniziamo alle 9 e si ’tira’ fino alle 11,30 Ma il segreto oggi è nel farla riposare»

Lucia Antonelli è cuoca (come piace definirsi lei e non chef) e titolare della ’Taverna del cacciatore’ a Castiglione dei Pepoli. Riparte la corsa verso la candidatura Unesco delle sfogline. E quello che viene in mente è anche, a proposito di virtuose imprese, la forza atletica di queste donne. Che fatica tirare la sfoglia…

«Sì, perché la sfoglina è un’artigiana». Lei da quanto tempo prepara la sfoglia? «Da 32 anni, se calcolo da quando ho il ristorante, ma prima la facevo da casalinga ed ero una vera appassionata». L’ha imparata da sua mamma? «Da mia mamma, da mia nonna, da mia zia. Poi, quando mi sono sposata, ho visto farla da mia suocera e dalle sfogline al ristorante e proprio lì ho realizzato che ognuna ha il suo stile, impariamo tutte una tecnica, usiamo un uovo per ogni etto di farina, ma poi ognuna di noi ha un suo modo particolare». Al ristorante come si fa? «Ci troviamo la mattina alle 9 e tiriamo la sfoglia fino alle 11,30. Però l’abbiamo preparata la sera prima perché è importante farla riposare».

Ma la schiena non duole? «No, perché rispetto al passato la tendenza è quella di non fare gli impasti così duri come una volta e lasciarla riposare dalla sera è uno dei segreti per averla meno resistente, perché impastare e tirare subito è un’impresa ardua. Certamente un tempo si faceva più dura, inseguendo, penso io, questo concetto della fatica come imprescindibile per il prestigio e la bontà di ogni cosa». Oggi invece? «Ci si organizza in maniera diversa. Abbiamo anche dei prodotti migliori, delle farine studiate proprio per agevolare il lavoro o anche per rendere il prodotto esteticamente più appetitoso. In commercio, come si trova la farina specifica per il pane o per i dolci, c’è anche quella per la sfoglia, che sopporta bene il riposo». Anche con la sfoglia l’occhio vuole la sua parte.

«L’approccio a un prodotto avviene anche tramite l’occhio. Magari se la dovessi fare solo per la famiglia, sceglierei anche una farina meno raffinata, che lascia i puntini grigi, ma per la produzione al ristorante, per la vendita, so che va bene di un bel giallo, il che non significa che sia meno sana. E’ un piccolo compromesso ma non sminuisce la bontà». Il tortellino fatto a Bologna e quello fatto in Appennino: trova le differenze. «La differenza sta nelle radici, nella famiglia, il che vale per tutti i prodotti della tradizione. Posso dire che in Appennino tendiamo ad avere una sfoglia più grossettina, sia per la tagliatella che per il tortellone e il tortellino».

Benedetta Cucci, Il Resto del Carlino -16 marzo 2021

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