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Tanta neve, rabbia e silenzio «Così l’Appennino non ce la fa più»

Gli operatori turistici emiliani: «Siamo fermi da quasi un anno, danni per decine di milioni di euro» E c’è chi sta studiando un ricorso al Tar per anticipare l’apertura fissata dal Governo per il 15 febbraio

Il Covid ha colpito moltissime categorie imprenditoriali, certo, ma tra chi ha pagato le conseguenze peggiori c’è di sicuro il mondo del turismo. Così, sull’Appennino emiliano-romagnolo, c’è chi, fra gli operatori turistici, pensa anche di fare ricorso al Tar, sulla scia di quanto già avviato da altre categorie (ristoratori in primis). In un inverno che ha registrato nevicate record e nessun turista che ha potuto goderne, la beffa vede gli hotel con le prenotazioni ridotte all’osso – del resto, ci si può spostare dal proprio comune di residenza solo per lavoro o per necessità urgenti, in zona arancione – e gli impianti sciistici aperti solo per i professionisti che si devono allenare. Anche l’estate, nonostante l’ammorbidimento delle restrizioni, non ha portato numeri paragonabili a quelli dell’anno precedente. E a detta di molti, i ristori promessi dal governo o non sono ancora arrivati o sono insufficienti.

Nevicate così copiose, da queste parti, non si vedevano da almeno cinque anni. Eppure, l’inverno 2020-21, che poteva trasformarsi in ghiotta occasione di rilancio per l’Appennino emiliano – dopo annate avare di fiocchi – rischia di essere ricordato come il più nero per l’intero settore della montagna. La chiusura per Covid, in vigore almeno fino al 15 febbraio, ha messo in ginocchio non soltanto gli impianti di risalita, ma tutta la filiera del cosiddetto ‘turismo dello sci’: dagli hotel ai rifugi, dai bar ai ristoranti in quota, dalle ditte per il noleggio dell’attrezzatura alle piccole attività commerciali della zona.

«Salvi i due mesi estivi di riaperture generalizzate, di fatto siamo fermi da un anno», ammette Amedeo Faenza, vicepresidente regionale di Federalberghi e componente del cda di Apt Emilia Romagna. «La sopravvivenza della nostra economia è in pericolo: molti operatori non riapriranno più, soffocati da debiti e imposte, dovute anche in un frangente di estrema emergenza come quello attuale». Il pensiero di Faenza va soprattutto ai gestori di strutture alberghiere in affitto, costretti a versare il canone pur con l’attività chiusa.

«Occorrerebbe ridisegnare il meccanismo dei ristori, così come quello dei prestiti bancari, che è impossibile restituire in tempi brevi. Il governo dovrebbe sedersi a un tavolo insieme agli operatori e pianificare strategie a lungo termine: non meritavamo un trattamento così miope. Abbiamo impiegato anni per valorizzare questa destinazione e ora rischiamo di perdere tutto». A confermare la drammaticità della situazione, i numeri sfoderati da Luciano Magnani, presidente del Consorzio Cimone. «Solo come consorzio stiamo perdendo, tra le chiusure del 2020 e quelle del 2021, intorno ai 4 milioni e mezzo di euro. Ma il danno per la filiera ha già sfondato il tetto dei 12 milioni di euro. Abbiamo circa duemila persone a casa, senza stipendio né sussidi di alcun genere». Eppure, davanti alla prospettiva di una possibile riapertura il 15 febbraio, Magnani si sforza di restare ottimista: «Riaprire il 15 significherebbe recuperare almeno il 20% dei profitti perduti e arrivare con più serenità a Pasqua. La gente ha voglia di sciare, riceviamo richieste di prenotazione ogni giorno. Se il governo darà il via libera, siamo pronti a riaprire in sicurezza e ad accogliere i visitatori».

Non condivide l’entusiasmo Marco Giannarelli, responsabile della stazione sciistica di Cerreto Laghi, in provincia di Reggio Emilia. «Il 15 febbraio non è affatto una data certa per la riapertura, siamo in attesa di conferme, ma finora le nostre richieste sono state inascoltate – sostiene –. È vero, in tanti ci chiamano per prenotare, ma la nostra risposta è sempre la stessa: aspettiamo che qualcuno, ai vertici, si decida a comunicarci se possiamo aprire o no». Intanto, dalla vicina Toscana – zona gialla – giunge la notizia che, lo scorso weekend, l’Appennino pistoiese si è riempito di turisti, arrivati in massa per godere dei paesaggi imbiancati e di un pranzo nei ristoranti della zona.

«Anziché assegnare i ‘colori’ sulla base dei confini regionali – riflette Flavio Roda, presidente del comprensorio sciistico Corno alle Scale, nel Bolognese e della Federazione sci nazionale – «si potevano delineare delle fasce a basso contagio, come l’intero Appennino tosco-emiliano. Lo sci garantisce un distanziamento naturale: eppure, finora non si è presa in considerazione neppure un’apertura contingentata degli impianti. Nel silenzio generale si sta consumando la fine del sistema economico della montagna». 

Maddalena Defranchis, Qn – Il Resto del Carlino, 26 gennaio 2021

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