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Fiva, lettera aperta al Presidente della Repubblica

Giacomo Errico: «Vogliamo tornare a lavorare in sicurezza. La categoria richiede maggiori attenzioni»

Signor Presidente,
la grave situazione di crisi, anche economica, che morde il Paese e la categoria che rappresento mi induce a ricorrere a Lei, al Suo unanimemente riconosciuto Alto ruolo di moderatore e punto di riferimento per tutti i cittadini.

Più volte abbiamo interloquito con Governo e Parlamento, segnalato lo stato di estrema difficoltà delle nostre imprese, impossibilitate a svolgere l’attività e la necessità di interventi mirati per non penalizzare oltremodo gli imprenditori e le loro famiglie, chiesto non indennizzi e ristori ma la possibilità di lavorare in un quadro di rigorose misure di sicurezza. Sempre inutilmente.

Il commercio su aree pubbliche, con le sue 177.000 imprese e gli oltre 400.000 addetti, è allo stremo. Non abbiamo il peso del comparto industriale né il prestigio dei grandi marchi, delle grandi firme. Ma rappresentiamo un quinto del dettaglio nazionale e soprattutto rendiamo un servizio essenziale nei piccoli centri, spesso negletti dalla distribuzione: svolgiamo con mercati e fiere una funzione insostituibile soprattutto verso la fascia più debole del consumo e occasioni importanti per la comunità e le tradizioni locali.

Alcuni nostri segmenti di attività sono fermi ormai da un anno: sono gli operatori delle fiere, delle sagre, degli eventi sportivi e musicali, la cui attività è stata inibita e pesantemente colpita dalle restrizioni.

In questo quadro i ristori sono stati e sono del tutto insufficienti. L’emergenza in atto rende certamente necessari gli interventi di salvaguardia della salute pubblica e al Paese e alle imprese è stato chiesto uno sforzo eccezionale. Non saranno certo i commercianti su aree pubbliche a sottrarsi a un elementare dovere che li chiama in causa, prima ancora che come imprese, quali cittadini di uno Stato moderno. Tuttavia, non possiamo nasconderci le pesanti ricadute che, sul piano dell’intrapresa economica, l’emergenza ha prodotto e provocherà nei mesi a venire.

È a nome di queste imprese, quasi tutte a conduzione familiare e che traggono dall’esercizio dell’attività l’unica o la primaria fonte di reddito, che sento di rivolgere a Lei l’appello a non dimenticare il commercio ambulante e su aree pubbliche.

Giustissimi il sostegno alle famiglie, al lavoro dipendente, all’import-export, alle filiere dell’agricoltura, del turismo e della cultura: passi del tutto necessari e opportuni. Ma anche il nostro settore ha necessità di sostegno: per il vertiginoso calo di fatturato, per le chiusure a ripetizione di mercati e fiere, per la caduta di fiducia dei consumatori dovuta al timore per la diffusione del virus. La ripresa sarà lentissima e ci vorrà tempo prima che mercati e fiere tornino a essere centri di servizio e di aggregazione. La struttura delle nostre imprese non consente la sopravvivenza oltre un certo limite fisiologico.

Lo stop a fiere e sagre locali, parte consistente dell’attività su aree pubbliche, già oltremodo penalizzata in questo anno, rappresenta un ulteriore durissimo colpo. L’impressione che ne deriva (e il messaggio che implicitamente si trasmette) è che i luoghi del commercio su aree pubbliche siano pericolosi per la pubblica incolumità. E così non è.

Allora, insieme al ristoro economico, sono necessarie garanzie di tenuta e soprattutto appare necessario intervenire sul piano della fiscalità, con provvedimenti straordinari, ancorché limitati nel tempo, in materia di contributi, tasse e imposte di qualsiasi genere: insomma un periodo “bianco” che consenta alle imprese di ricostruire liquidità e scorte.

Non vorremmo ritrovarci a fronteggiare, oltre alla mortalità del virus, anche una mortalità di imprese nel nostro settore, ben oltre la soglia del 30%. Comprendiamo lo sforzo di responsabilità che il Governo sta producendo, siamo consapevoli della criticità della situazione, vogliamo fare la nostra parte: ma se tutto questo si traduce in una chiusura indiscriminata e non selettiva, allora non condividiamo.

Chiediamo a Lei, che sa interpretare i sentimenti dei cittadini italiani, di segnalare al Governo la necessità di una equa ripartizione dei sacrifici, non solo economici, imposti al Paese e alle imprese.

La nostra esigenza è quella di tornare a lavorare il più presto possibile: certamente in un quadro di sicurezza e di rispetto nelle norme anti-contagio, ma tenendo aperti mercati e fiere perché l’impatto che la pandemia ha avuto e avrà sulla produttività delle nostre imprese è devastante. È per questa situazione insostenibile che la nostra categoria chiede attenzione.

Sappiamo che le Sue prerogative costituzionali non Le consentono interventi diretti ma conosciamo anche la forza dei Suoi richiami. Nulla di più chiediamo se non di tenere nella giusta considerazione anche la nostra categoria.

Grazie, Signor Presidente, per quanto vorrà fare. Le rinnovo i sentimenti di stima e di gratitudine.

Presidente nazionale Fiva, Giacomo Errico

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