Secondo Fipe a rischio chiusura ci sono oltre 60mila attività tra bar, pizzerie, pub e ristoranti
Un rosso da quasi40 miliardi di euro, 37,7miliardi per la precisione, ovvero circa il 40% dei ricavi del comparto ristorazione persi nel 2020 a causa del Covid-19. La conseguenza più diretta della lunga emergenza sanitaria è stata di spingere nell’area di “rischio chiusura” circa 6omila attività.
A dirlo l’ufficio studi di Fipe che monitora l’andamento del settore. Drammatiche le conseguenza occupazionali: hanno perso il posto di lavoro circa 300mila addetti a tempo determinato mentre le ore di cassa integrazione sono schizzate a 483 milioni. La pesante congiuntura ha anche fatto calare la natività delle imprese. Nei primi nove mesi dello scorso anno sono state fondate circa 7.700 attività, contro le oltre 10mila dello stesso periodo del 2019, mentre le cessazioni sono state quasi 17mila.
Un saldo negativo con la perdita di circa 9.200 attività. La voce ristori governativi invece segna appena 2,5 miliardi di euro erogati fino a ieri. Considerando i giorni di chiusura tra il primo e il secondo lockdown, che ammontano a 145, ogni impresa ha ricevuto al giorno circa 63 euro. Un importo non sufficiente a sopravvivere rimarcano da Fipe. In più non tutte le attività hanno beneficiato dei ristori.
Infatti sono rimaste escluse quelle che, rimaste chiuse per lockdown ad aprile 2020, non hanno potuto fare nessun raffronto con gli incassi dell’aprile 2019. Per loro niente fondi sia con la prima che la seconda sessione di ristori. «L’esiguo importo dei ristori non può essere ricondotto ai bassi fatturati dichiarati dagli imprenditori, piuttosto è nella modalità di calcolo che va ricercato il difetto – fanno sapere dall’Ufficio studi Fipe -. I ristori avrebbero dovuto tener conto delle perdite subite dalle imprese nell’arco dei dieci mesi e non utilizzare il solo mese di aprile come riferimento».
Un’ultima picconata a chi cerca di fare sopravvivere la propria attività arriva dalle amministrazioni locali che hanno chiesto l’intera tassa rifiuti a pizzerie, bar e locali pubblici che nel 2020 hanno lavorato a ritmo ridotto. Senza incassi e ristori ecco che cresce il rischio infiltrazioni malavitose tra gli imprenditori sempre più provati non solo economicamente ma anche psicologicamente.
Nell’ultimo trimestre Fipe, in aggiunta agli altri servizi forniti, ha aperto uno sportello d’ascolto che ha aiutato grazie alla consulenza di un team di psicologi quasi 700 imprenditori in difficoltà. Un servizio che forse verrà riproposto considerando che l’agognata uscita dallo stato di emergenza, nonostante la campagna vaccinale in corso, si sta allontanando.
Anche per questo motivo Fipe insieme alle maggiori rappresentanze sindacali del settore hanno chiesto un incontro urgente al ministro Patuanelli per affrontare il grave stato di crisi del comparto dei locali pubblici e per approntare i necessari interventi a sostegno delle imprese e dei lavoratori. Le prospettive del resto non fanno sperare un rientro alla normalità in tempi brevi e lo stop all’asporto dopo le 18 peggiorerebbe il quadro.
Preoccupa soprattutto il contenuto del prossimo Dpcm che entrerà in vigore dopo il 16 gennaio. Si teme che quel decreto porterà una ulteriore stretta per bar e locali intorno ai quali è più probabile che si creino assembramenti. Si concretizza così il timore che lo stop alle ore 18 per l’asporto diventi realtà, un provvedimento le cui conseguenze si preannunciano drammatiche. Secondo le stime di Confesercenti nella sola Capitale con il centro storico desertificato tra turismo azzerato e smart working, con il divieto di asporto «chiuderanno 10mila imprese tra la ristorazione classica, bar, pizzerie al taglio, gelaterie, pasticcerie e street food con la perdita di almeno 30mila posti di lavoro – avverte Claudio Pica, presidente della Fiepet-Confesercenti di Roma e Lazio -.
Il Governa rifletta» è il suo appello. «Impedire l’asporto dalle ore 18 è una follia che non risolve nessun problema di tipo sanitario – rimarca Roberto Calugi, direttore generale Fipe-Confcommercio -. Il Governo deve pensare a governare il territorio e colpire chi sbaglia o viola le disposizioni ma non bloccare decine di migliaia di pubblici esercizi a prescindere. Si deve punire chi sbaglia».
Tra gli imprenditori corre il malessere. «La ristorazione piemontese, con più di 12mila imprese, non può continuare ad essere ostaggio delle incertezze. È giunto il momento che il Governo faccia la sua parte, mantenendo gli impegni assunti – segnala Vittoria Poggio, assessore al Commercio della Regione Piemonte-.
Le imprese lamentano forti ritardi nell’erogazione dei ristori di novembre e quelli previsti per il periodo di Natale sono ancora privi dei decreti attuativi».
Cresce il malessere tra gli imprenditori e l’iniziativa “#ioapro” ha raccolto – dicono gli organizzatori – oltre 50mila adesioni. L’obiettivo della protesta nata sui social è di restare aperti da venerdì contro le restrizioni del Governo. «È una questione di sopravvivenza, siamo già al punto di non ritorno, ma ci proviamo lo stesso» dice Umberto Carriera, ristoratore ribelle di Pesaro che ha già collezionato multe e sospensioni per aver aperto alcuni suoi locali malgrado i divieti dei vari Dpcm. «Non è mai stata presentata una indagine epidemiologica che accerti i contagi nei locali, a differenza di quanto può accadere sui mezzi pubblici o nei supermercati – sostiene Carriera -. Vogliamo poter lavorare, ma saremo i primi a puntare il dito contro chi non rispetta le norme di sicurezza». I locali “#ioapro” che promettono di restare aperti fino alle 21,45, giusto il tempo per rincasare prima del coprifuoco sono circa 400 e parallelamente si sta organizzando un team di legali che finiranno nelle maglie della legge.
Invita alla calma Paolo Bianchini, presidente di Movimento imprese ospitalità (Mio-Federturismo) che rivolto alla fronda dei disubbidienti dice: «Proprio ora che stiamo arrivando agli indennizzi delle perdite 2020 non possiamo andare ad aprire contra legem i nostri ristoranti, i nostri bar. Sarebbe un boomerang enorme per tutta la categoria».
Nell’ormai lontano 10 maggio 2020 Mio chiese, senza successo, al premier Conte lo stato di crisi per l’intero comparto Ho.re.ca. mentre poco prima, alla fine di aprile, Bianchini aveva dato vita alla protesta con ristoratori e commercianti che consegnavano le chiavi delle loro attività ai sindaci.
Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2021
Le associazioni: “Vanno forte i prodotti della tradizione. Giusto comprare nei nostri negozi di prossimità, aspetto che dà linfa vitale a quartieri e territorio”