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Intervista a Bianca Cappelletti, Cantina Bentivoglio e a Marco Giardini, Sale Grosso

Cappelletti:”Io, eterna ottimista Ma qui la spunterà solo chi è più forte” e Giardini:”Situazione tragica L’asporto non basta Ora crediti agevolati”

Bianca Cappelletti, “Cantina Bentivoglio”. A 31 anni fa parte della nuova generazione di soci della Cantina Bentivoglio e di Polpette e Crescentine, quest’ultima con due location, al mercato delle Erbe e a Corticella. Del gruppo fa parte anche la trattoria II Paradisino alla Barca, gestita però dal padre Vincenzo. Bianca Cappelletti guida un “cartello” storico sotto le Due Toni. «Mio padre e i soci anziani all’inizio ci rassicuravano – dice – Ci dicevano: “Siamo sopravvissuti al divieto di fumo nei locali, alla guerra del Golfo, alla Ztl in via Mascarella: sopravviveremo anche a questa”. Ma dopo dieci mesi non sono più cosa ottimista. Dopo sarà come tornare negli anni Venti. Esploderà la voglia di divertirsi, ma bisogna arrivarci». Cappelletti: come comincia questo nuovo anno? «Sono un’eterna ottimista, ma questa crisi mi ha resa più realista. Secondo me ci sarà una grande rivoluzione: riusciranno a sopravvivere solo le aziende famigliari e chi ha le spalle molto grosse. Chi si era reinventato, o chi lavorava soprattutto col turismo, rischia di soffrire molto. L’abbiamo visto nei nostri locali: la Cantina, che era quella che lavorava di più con le fiere e il turismo, è stata la più colpita. II Paradisino e Polpette e Crescentine invece sono andati meglio, perché si basano sulla clientela di prossimità». Capitolo ristori? «Un cerotto sul Titanic: noi abbiamo una settantina di dipendenti e le casse integrazioni non arrivano da luglio, abbiamo cercato di far lavorare un po’ tutti a rotazione per farli arrivare a fine mese, ma penso che finché non ci sarà la tranquillità mentale di uscire, la situazione non si sbloccherà. Ci hanno trattato come fossimo degli untori, ma non sono certo stati i ristoranti a fare aumentare i contagi. Una cosa però non me la leva dalla testa nessuno: noi ristoratori abbiamo gridato al lupo al lupo troppo presto, già a marzo c’era chi lanciava l’allarme. E questo, sul lungo periodo, ci ha penalizzato». Cosa potrebbe fare il Comune per aiutarvi? «Prima di tutto intervenire sulla Tari: l’anno scorso hanno posticipato il bollettino di maggio a dicembre, ma poi tutti l’abbiamo dovuta pagare. E poi fare più controlli anziché penalizzare l’intera categoria. Noi non abbiamo mai avuto una verifica, per esempio, e abbiamo messo anche dei plexiglass tra i tavoli per far sentire le persone più tranquille. Poi servirebbero regole più chiare da parte del governo: dopo quasi un annodi pandemia, oggi no sappiamo ancora cosa succederà lunedì» Qualche episodio bello c’è stato? «Abbiamo sempre proseguito con l’asportoe per ogni festività abbiamo fatto un menù ad hoc: Pasqua, 25 Aprile, 1 Maggio, Natale. Una coppia di anziani aveva ordinato diversi menù da noi e l’ultima volta, quando sono andata da loro col pranzo di Natale, mi hanno ringraziato tanto, dicendo che gli abbiamo fatto molta compagnia in quest’anno difficile, visto che anche in quel giorno erano soli. Alla fine ci siamo commossi tutti e tre. A Capodanno hanno ordinato di nuovo e mi hanno presentato anche la loro figlia».

Intervista a Marco Giardini – “Situazione tragica L’asporto non basta Ora crediti agevolati”

Marco Giardini, “Sale Grosso”. Ex assessore alla cultura, ex presidente Acer, quest’anno Marco Giardini festeggia i dieci anni del suo ristorante Sale Grosso di vicolo de’ Facchini e al pari dei suoi colleghi è alle prese con la crisi. «C’è chi pensa che noi ristoratori siamo sempre ricchi ed evasori ma da tempo non è così – dice – Da uomo di sinistra mi colpisce il silenzio dei sindacati sul tema dei lavoratori. Non capire che colpendo la ristorazione colpisci tutta la filiera degli approvvigionamenti e tanti lavoratori anche giovani è drammatico. Dalla Regione e dallo Stato non abbiamo bisogno di regaloni, ma di una prospettiva di credito a basso costo di lungo periodo». Giardini com’è la situazione? «Piuttosto tragica direi. Le aperture a pranzo rappresentano una concessione molto limitata, nel senso che un ristorante normalmente a pranzo ha prezzi più bassi che a cena, e quando si va in zona arancione o rossa l’asporto non è una soluzione». Perché? «L’asporto presuppone che tu metta comunque in moto la macchina, in termini di dipendenti e approvvigionamento, ma finora le richieste sono state interessanti solo in due occasioni: la vigilia di Natale e il 31 dicembre. Per il resto c’è stato qualche nostro cliente che aveva occasioni particolari, un compleanno, un anniversario. E le consegne le ho sempre fatte io in auto, perché il costo di affidarsi a un servizio esterno è insostenibile». I ristori quanto hanno coperto? «Sono palliativi: io da marzo ho preso una volta 5 mila euro e la seconda 10 mila. Se prima fatturavo attorno ai 400 mila euro, ora siamo a meno della metà e i costi fissi restano anche quando siamo chiusi, a cominciare dall’affitto. I ristoranti sono imprese e un’impresa ha bisogno di una prospettiva di liquidità per un tempo anche lungo. Abbiamo usato i 30 mila euro di prestito con garanzia dello Stato, ma sono finiti, e molte risorse sono state disperse, perché sono state concesse anche a imprese che non ne avevano bisogno: avvocati o imprese che non hanno subito una riduzione di fatturato in questo periodo. Detta in parole semplici: la cosa di cui avrei un bisogno estremo è un aiuto che mi permetta di reggere nel breve periodo e un credito iperagevolato almeno a tre anni. Poi non si parla più della cassa integrazione, come se nel frattempo fosse arrivata». Invece? «È in ritardo di alcuni mesi, poi nel nostro settore copre al massimo il 50% del compenso di partenza. Vuol dire che se un lavoratore prendeva 1200 euro, con la “cassa”, quando arriva, ne prende al massimo 600: se ha famiglia significa entrare in condizione di povertà. E noi purtroppo la cassa integrazione non abbiamo le condizioni di anticiparla. L’abbiamo spalmata su tutti i dipendenti e cerchiamo di utilizzarla il meno possibile ma anche così i nostri dipendenti fanno fatica e anche i sindacati su questo punto tacciono». Le associazioni di categoria? «Anche loro sono state colte alla sprovvista e hanno fatto fatica a essere incisive finora: sono categorie e organizzazioni abituate negli anni a un dialogo piuttosto lineare e tranquillo col governo, senza mai troppi strappi». Conosce colleghi costretti a chiudere? «Mi risulta che non ci sia ancora una moria generalizzata, ma c’è un numero elevato di imprese sul filo della sopravvivenza, rischia di non arrivare all’estate».

Caterina Giusberti, la Repubblica 7 gennaio 2020

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