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Guido Reni, la tela ritrovata torna a casa

La Galleria Borghese di Roma ha acquisito dalla bolognese Fondantico la celebre ‘Danza Campestre’, realizzata fra 1601 e 1602

Ancora una volta la bolognese Galleria Fondantico di Tiziana Sassoli porta a termine con successo un’importante operazione di cultura, ma soprattutto di riappropriazione per lo Stato italiano di un’opera della quale, nei secoli, si erano perdute le tracce. Dopo 400 anni la prestigiosa tela Danza campestre (cm. 81×99) realizzata da Guido Reni tra il 1601 ed il 1602 ritorna a far parte della Collezione del Cardinale Scipione Borghese, quindi della Galleria Borghese di Roma. Questa vendita celebra così il virtuoso rapporto tra Istituzioni pubbliche e il mercato antiquario. Il dipinto, nella Capitale dal 23 dicembre, è stato esposto dalla Galleria Fondantico nel marzo del 2020 al Tefaf di Maastricht, la più importante fiera del mondo d’arte, dove è stato prontamente acquistato per 800mila euro per le sale della Galleria Borghese dall’allora direttrice Anna Colliva, poco dopo andata in pensione.

La nuova direttrice Francesca Cappelletti ha confermato orgogliosamente l’acquisto. Tiziana Sassoli, che da trent’anni si occupa di arte e pittura antica in particolare emiliana, è fiera di avere contribuito al rientro in Italia di un’opera così importante: soprattutto perché la prestigiosa Galleria Borghese dal 2003 non acquistava da una Galleria privata e questa è stato l’unica acquisizione nel 2020 della Galleria romana. Proprio quest’ultima tiene a sottolineare che la committenza del cardinale Scipione a Reni del dipinto confermava la stima per il pittore bolognese che voleva diventasse, dopo la morte di Annibale Carracci, l’artista più importante sulla scena romana.

La tela, che appartiene alla prima attività artistica del Reni durante il suo primo soggiorno a Roma, quando ancora si dedicava al paesaggio campestre, filone poi abbandonato, è accompagnata da una dettagliata quanto esaustiva scheda dello storico dell’arte Daniele Benati che ne precisa la provenienza, documentata da Keith Christiansen del Metropolitan of Art Museum di New York: il dipinto era presente nel 1620 nella collezione del cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, e ancora nella descrizione dei quadri conservati nella Villa Borghese redatta da Jacomo Manilli nel 1650. Altri inventari di famiglia lo registrano sempre a Roma sino al 1693; dopodiché se ne perdono le tracce sino al 2008, quando compare sul mercato antiquario londinese. Il dipinto raffigura un’aggraziata scena di danza popolare, un ballo accompagnato da musica la cui « … atmosfera – come cita Benati nella scheda – è distesa, ma scandita da precisi e rituali gerarchici: in segno di benevolenza, gli aristocratici accettano di mescolarsi per qualche tempo con i loro sudditi, così da dare avvio alla festa che proseguirà tutta notte. Anche l’ambientazione paesaggistica concorre a sottolineare il clima gioioso… ».

Nell’insieme la scena campestre si avvicina ai modelli naturalistici bolognesi dei Carracci che si coniugano con i paesaggi fiabeschi di Nicolò dell’Abate.

Nicoletta Barberini Mengoli, Il Resto del Carlino, 29 dicembre 2020

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