Bartolo Mogavero, direttore di sala della ’Cesarina’: «Alcuni colleghi aspettano ancora la cassa integrazione del primo lockdown»
Per Bartolo Mogavero, direttore di sala della ‘Cesarina’, storico ristorante di piazza Santo Stefano, il Natale non è quello di sempre. Trentotto anni, sei a dirigere i camerieri del locale del centro cittadino famoso per alcuni piatti della tradizione, si è trovato una busta paga falcidiata dalla cassa integrazione e una tredicesima mini.
Quanto ha inciso questa crisi da Covid? «Parecchio. Nel primo lockdown sono stato senza lavorare per 72 giorni. Poi ci sono stati i mesi estivi, dove io, i miei colleghi e tutto il settore abbiamo respirato. Poi, di nuovo, la batosta. Aperti (quando è andata bene) solo a pranzo. E quindi, turnover, altra cassa integrazione. E stipendio sempre più basso».
Può quantificare la perdita in busta paga? «Beh, diciamo un buon 50 per cento in meno. Cioè, stipendio dimezzato». Con la tredicesima, però, almeno a dicembre può compensare… «Peccato che anche quella sia ridotta di almeno il 40 per cento rispetto agli altri anni. Ma c’è chi sta peggio di me. Ho colleghi che ancora stanno aspettando la cassa integrazione del primo lockdown… Io, fortunatamente, me l’ero fatta anticipare fino a 1.400 euro dalla banca. Altrimenti sarei qui in attesa di due o tre stipendi di arretrato. Un disastro».
Che differenza c’è tra il primo lockdown e questa nuova chiusura in zona rossa? «A marzo, aprile, c’era preoccupazione, ma a maggio c’è stato l’entusiasmo di riaprire. Di ricominciare. Si pensava che il peggio fosse passato. Oggi, invece, c’è la paura di non farcela. Il timore per le proprie famiglie. Si spera nel vaccino, certo. Ma quella gioia che avevamo a maggio quando abbiamo ritirato su la serranda oggi non possiamo provarla».
Le consegne a domicilio e l’asporto per le feste di Natale non sono bastati? «No, non sono sufficienti. L’abbiamo fatto per fidelizzare i clienti, per permettere a chi aveva già prenotato di avere i nostri piatti… ma tra aperture a singhiozzo o soltanto a pranzo quando torneremo in zona gialla è comunque durissima».
Come vi state organizzando nel ristorante? «Siamo dodici dipendenti: sei in sala, sei in cucina. Significa dodici famiglie. Cerchiamo di lavorare meno, ma lavorare tutti facendo un po’ di turnover. Quando eravamo aperti solo a pranzo, abbiamo cercato di alternarci il più possibile. Ma ci sono giorni in cui i camerieri sono più dei clienti…».
Che cosa si aspetta dal nuovo anno? «Non sappiamo se andrà tutto bene, come dicevamo i primi mesi della pandemia. Speriamo tutti nel vaccino, quello che vogliamo è tornare alla normalità. Ciò nonostante non molliamo. Il periodo è negativo, ma ci siamo concentrati per garantire ancora più di prima il servizio migliore sia in sala sia in cucina».
Ros.Carb., Il Resto del Carlino 27 dicembre 2020
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