La seconda ondata, le nuove regole: Vito a San Luca, il ristorante sui Colli
«Il lavoro ci sarebbe, tra Natale e Santo Stefano avevo circa 180 prenotazioni. Ho bloccato la sfoglina, ma avevo già comprato vini rossi e champagne…». Vito Dall’Oglio, da 54 anni lavora al ristorante pizzeria ‘Vito a San Luca’: dieci anni da dipendente, 44 da proprietario. Pensava di poter tenere aperto durante le feste? «Ci avevano detto così. Mi ero già organizzato e tanta gente voleva passare le feste da noi. Questo è un danno economico importante, visto che dicembre è un mese importantissimo per il fatturato». Stare aperti a pranzo durante il periodo ’giallo’ non basta? «Si fa il 30 per cento del giro d’affari. Abbiamo tanti dipendenti che temono per il posto di lavoro, non si può fare altro che spostare i debiti in avanti. I ristori sono inezie. Per tenere viva l’azienda bisogna usare i proprio risparmi. Ma non sono infiniti…». Lavora nella ristorazione da tutta la vita: si aspettava una situazione del genere? «Di cose ne ho viste tante, ma anche psicologicamente il Covid è la peggiore. Qui non è paura del futuro, è paura del domani». Può comunque fare il servizio d’asporto… «Siamo a San Luca, troppo isolati. Non ci conviene. Preferisco chiudere fino alla Befana. Ma di una cosa sono certo: gli untori non siamo noi. E dopo tutte le misure prese, il distanziamento, la riduzione dei tavoli, la sanificazione non è giusto chiuderci. Capisco l’emergenza sanitaria, ma tutti i giorni servirebbe fare anche un bollettino di tutte le imprese costrette a chiudere».
Rosalba Carbutti, Il Resto del Carlino, 20 dicembre 2020
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