I ristoratori Filippo Venturi e Alberto Bettini (Trattoria da Amerigo 1934) parlano della riapertura dei locali post lockdown
Filippo Venturi
Pochi turisti, tanti timori. Servono idee
La ripresa delle attività di ristorazione, a due mesi dalle riaperture, sta procedendo con ovvia lentezza. Il mondo intero, non solo Bologna, sta viaggiando all’interno di una bolla. Tutto è ancora fermo, quasi incastrato. I parametri sono falsati.Non ci sono turisti, studenti, fiere, si lavora ancora in smart working, tanti hanno ancora paura. Ma l’attuale momento di difficoltà va affrontato guardando al nostro lavoro da una prospettiva diversa, mettendosi in gioco e con nuove idee. Questo non significa cambiare mestiere, come ha detto qualcuno di recente, ma è innegabile che la ristorazione, intesa con i canoni classici del termine, stia soffrendo, visto che la domanda è cambiata rispetto a 4 mesi fa.
Almeno, oggi lo è. Bologna non è più una città che si autoalimenta come in passato, si è tarata su numeri diversi. È quindi in questa direzione che devono continuare a concentrarsi gli aiuti e la collaborazione tra imprenditori e Stato, per evitare una ricaduta enorme sull’occupazione.
Un aspetto, questo, da non sottovalutare, visto che in questo periodo si sta creando una doppia crisi: se i ristoranti non lavorano, non è possibile neanche far lavorare i dipendenti. Una dicotomia che dovrebbe essere un segnale d’allarme, per fare prendere decisioni incisive per il futuro del settore.
Il Comune di Bologna questo lo ha capito e ha permesso l’allargamento dei dehors gratuitamente. D’altronde, la ristorazione, per Bologna, rappresenta un settore cruciale nello sviluppo e promozione della città, una sorta di termometro per misurare la salute dell’economia.
Non va dimenticato che, grazie al lavoro di squadra, allo sforzo di tutti, ma anche grazie alla ristorazione, Bologna ha vissuto momenti di crescita molto alti, facendosi conoscere all’estero ed entrando nel giro delle città che contano.
Alberto Bettini
Tredici trattorie unite dall’amore per la cucina
Vent’anni fa ci trovammo assieme a cucinare, o a tavola durante le premiazioni di diverse guide. Nati a centinaia di chilometri gli uni dagli altri, ma con storie e idee simili, uniti da un unico filo conduttore, decidemmo di condividere valori culturali e gastronomici costituendo le Premiate Trattorie Italiane, con un disciplinare d’accesso molto severo che ci permette di consigliare ’a occhi chiusi’ una visita agli altri locali.Partiti in cinque, adesso in tredici, tutti nel bel libro che grazie alla penna di Sara Favilla e le foto di Lido Vannucchi: è la storia e il presente di tredici famiglie italiane, con un’identità mai perduta e costantemente rinnovata negli scenari a noi cari della consapevolezza, della continua ricerca e del rispetto.
Per un futuro migliore, quello del ’mondodopo’ la forzata chiusura. Premiate, perché ci siamo incontrati in occasioni conviviali e ci piaceva l’assonanza col famoso gruppo di ’prog’ italiano che un tempo girava nei nostri mangianastri. Premiate poi dal tempo e dall’affetto di una clientela consolidata, cosmopolita e curiosa.
Trattorie, perché da generazioni sono luoghi senza tempo che conservano la memoria e sanno essere contemporanee e aperte al nuovo, porte di accesso al territorio con un progetto di salvaguardia dei prodotti locali anche invitando i nostri clienti ad acquisti domestici consapevoli.
La Trattoria è luogo di ristoro, ufficio informazioni, ritrovo per contadini, allevatori e cacciatori locali, circolo culturale e punto di riferimento per amanti della natura, dell’arte e tanto altro. Italiane, perché il paesaggio di sfondo è la cucina Italiana con le sue mille sfaccettature.
Un giro d’Italia a tavola, in cucina, in famiglia, la cui varietà di ricette rende un panorama ricco di cibi e di storia, unito da quella sintassi del pasto che rende la cucina Italiana unica al mondo: antipasto, primo, secondo e dessert.
il Resto del Carlino, 23 luglio 2020
“Finché sarà apprezzato e sostenuto il suo forte ruolo di servizio alle comunità, il negozio non morirà mai perché è sinonimo di collettività, di socialità, di sicurezza, di coesione”