Il presidente di Confcommercio imprese per l’Italia, Carlo Sangalli, chiede al governo azioni incisive, altrimenti 270mila imprese rischiano di non alzare più le serrande
È ormai davvero lunga la sequenza delle previsioni che cercano di misurare l’impatto dell’emergenza sanitaria, divenuta emergenza economica e sociale, sulla crescita e sull’occupazione, sugli investimenti e sui consumi. Tra le stime più recenti e più severe vi è, ad esempio, quella del Fondo monetario internazionale, che giunge a prevedere, per l’anno in corso, una contrazione del Pil del nostro Paese del 12,8%.
Sul versante dei consumi, poi, l’indicatore di Confcommercio segnala a maggio una caduta nel confronto annuo del 29,4%. E la caduta dei consumi si presenta particolarmente rilevante nella filiera turistica, nei trasporti e in larga parte del commercio. Bastano, così, pochi dati a confermare la necessità e l’urgenza di misure che sostengano i consumi e la domanda interna nel complesso, anche attraverso provvedimenti di riduzione delle aliquote Iva.
E bastano, ancora, questi dati a motivare l’ulteriore nostra richiesta di rafforzare una strategia di sostegno pubblico al settore produttivo incentrata su indennizzi robusti da riconoscere in maniera proporzionale alle perdite subite e accompagnata da congrue moratorie fiscali, da meccanismi realmente efficaci di accesso al credito, da misure di supporto per gli affitti commerciali. In questo contesto siamo a fianco delle imprese più penalizzate dall’emergenza sanitaria. Aziende per la maggior parte di piccole e medie dimensioni che rischiano di essere stritolate tra gli impegni assunti con i loro fornitori e la difficoltà di tornare a fatturare dopo il lockdown.
In particolare sottolineiamo l’importanza degli indennizzi a fondo perduto e dei prestiti garantiti dallo Stato per permettere a queste imprese un percorso di sopravvivenza fino al ritorno di una nuova normalità. Misure più robuste e misure più tempestive: ecco cosa serve. Perché nel commercio, nel turismo, nei trasporti sono a rischio chiusura circa 270mila imprese e perché la «pressione» della criminalità si fa intanto sentire sul 10% delle micro e piccole imprese del commercio e dei pubblici esercizi. Insomma, l’emergenza economica e sociale non è certo cessata. Ma, accanto alla risposta all’emergenza e in coordinamento con essa, è già tempo di progettare e agire con più ampia prospettiva.
Lo abbiamo detto in occasione degli «Stati Generali»: occorre reagire e avanzare affrontando l’agenda delle riforme necessarie per rafforzare produttività e crescita, occupazione e coesione sociale e territoriale. È, in altri termini, l’agenda delle regole e delle politiche che vanno messe in campo per un’Italia che funzioni meglio e che investa meglio, mettendo a frutto le opportunità del «Recovery Fund». I titoli generali sono noti: maggiore agibilità dei contratti a termine e del lavoro occasionale e riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro; semplificazioni e una efficace spending review per investire in conoscenza e in digitalizzazione, in infrastrutture, trasporti e logistica.
Il tutto secondo un approccio che tenga saldamente insieme sostenibilità ambientale e sostenibilità economica e sociale. E, ancora, una riforma del fisco che, riaffermando principi e valori dello statuto dei diritti del contribuente, persegua una progressiva riduzione del carico della tassazione, un’accorta azione selettiva di contrasto e recupero di evasione ed elusione e, con un’azione europea determinata, il varo di un’equa web tax.
Di queste regole e di queste politiche si gioverebbero i «giacimenti» di cui il nostro Paese dispone: dalla ripartenza del turismo e dalla resilienza del made in Italy e dell’ltalian way of life alla riorganizzazione delle nostre città in collegamento con la valorizzazione del commercio e dei servizi di prossimità, giusto per fare qualche esempio. Per il commercio, in particolare, serve un nuovo approccio. Un approccio che tenga conto del suo ruolo economico e sociale e che tuteli e promuova, anche sostenendone l’innovazione e il rapporto con il digitale, le attività di prossimità e il modello italiano di pluralismo distributivo.
Un approccio che miri a rafforzare le fondamenta di un mercato sano, contrastando abusivismo commerciale e contraffazione, patologie profondamente distorsive della concorrenza. Ce la possiamo fare: contrastando l’emergenza e mettendo in campo tutta la responsabilità che occorre, a ogni livello e in ogni ruolo, per fare decollare, con obiettivi e percorsi chiari e condivisi, il progetto per l’Italia che verrà.
Il Tempo, 5 luglio 2020
“Finché sarà apprezzato e sostenuto il suo forte ruolo di servizio alle comunità, il negozio non morirà mai perché è sinonimo di collettività, di socialità, di sicurezza, di coesione”